30 anni dopo l’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura Amnesty International accusa i governi di ogni parte del mondo di aver tradito l’impegno
L’organizzazione ha registrato casi in 141 paesi negli ultimi cinque anni, in 79 paesi nel 2014. «La vietano per legge, la facilitano nella pratica. Ecco la doppia faccia dei governi quando si tratta della tortura» – ha dichiarato Patrick Walder, coordinatore della campagne in Amnesty International Svizzera, durante la conferenza stampa di lancio della campagna globale «Stop alla tortura» a Berna. «Non solo la tortura è viva e vegeta, ma il suo uso sta aumentando in molte parti del mondo poiché sempre più governi tendono a giustificarla in nome della sicurezza nazionale, erodendo così i progressi fatti negli ultimi 30 anni».
A partire dal 1984, la Convenzione contro la tortura è stata ratificata da 155 paesi. Amnesty International ha svolto ricerche su 142 di essi, giungendo alla conclusione che nel 2014 la tortura viene praticata ancora da 79 paesi. Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha registrato casi di tortura o di altri maltrattamenti in 141 paesi ma, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero effettivo sia più alto. In alcuni di questi paesi la tortura è sistematica, in altri è un fenomeno isolato ed eccezionale. Ma, sottolinea l’organizzazione per i diritti umani, anche un solo caso di tortura è completamente inaccettabile.
Nel rapporto della campagna globale «Stop alla tortura», intitolato «Torture in 2014: 30 Years of Broken Promises» («La tortura oggi: 30 anni di impegni non mantenuti»), è riportato un lungo elenco di metodi di tortura usati contro presunti criminali comuni, individui sospettati di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici e altre persone ancora: dall’obbligo di rimanere in posizioni dolorose alla privazione del sonno, dalle scariche elettriche ai genitali allo stupro. La tortura più frequente è quella di picchiare, sulle Filippine è stato trovato perfino una “ruota della fortuna” con le pratiche di tortura.
Prima del lancio della campagna, Amnesty International ha commissionato un sondaggio all’istituto di ricerche GlobeScan per conoscere l’attitudine dell’opinione pubblica rispetto alla tortura in 21 paesi del mondo. Il risultato allarmante è che il 44% del campione pensa che, se fosse arrestato nel suo paese, rischierebbe di essere torturato. L’82% ritiene che dovrebbero esserci leggi rigorose contro la tortura. Ma più di un terzo (il 36%) crede che la tortura potrebbe essere giustificata in determinate circostanze.
«I risultati sono sorprendenti: quasi la metà delle persone che abbiamo contattato si sente vulnerabile rispetto alla tortura. La vasta maggioranza ritiene che dovrebbero esserci norme chiare contro la tortura ma più di un terzo ancora pensa che in certi casi la tortura possa essere usata. Complessivamente, abbiamo riscontrato un forte sostegno globale in favore di azioni che prevengano la tortura» – ha dichiarato Caroline Holme, direttrice di GlobeScan.
Nei paesi che hanno preso sul serio gli impegni assunti con la ratifica della Convenzione contro la tortura, questa è diminuita grazie all’introduzione di un reato specifico nelle leggi nazionali, all’apertura dei centri di detenzione a organismi indipendenti di monitoraggio e alla registrazione video degli interrogatori. Amnesty International chiede ai governi di introdurre e applicare garanzie di protezione per prevenire e punire la tortura, come esami medici adeguati, immediato accesso agli avvocati, visite di organismi indipendenti nei centri di detenzione, indagini efficaci e indipendenti sulle denunce, procedimenti nei confronti dei presunti responsabili e adeguata riparazione per le vittime.
Mentre l’azione di Amnesty International per prevenire e punire la tortura prosegue a livello mondiale, la campagna «Stop alla tortura» si concentrerà su cinque paesi dove la tortura è praticata in modo ampio e dove l’organizzazione per i diritti umani ritiene di poter contribuire a cambiare significativamente la situazione. «Quella Convenzione era stata il prodotto di una campagna di Amnesty International contro la tortura. È disarmante rendersi conto che, nonostante i progressi fatti da allora, 30 anni dopo ci voglia un’altra campagna di Amnesty International affinché sia rispettata» – ha commentato Walder.