Al summit ministri economici e banchieri centrali si sono impegnati a conciliare rigore, conti e Pil
Stabilita la meta, riportare il bilancio in pareggio, ora l’Italia deve assicurarsi di essere in grado di raggiungerla: “La settimana prossima faremo un tagliando alla macchina”, ha dichiarato il ministro Tremonti a margine del summit dei ministri delle Finanze e dei presidenti delle banche centrali del G7, tenutosi a Marsiglia.Le sette maggiori economie avanzate si sono riunite a Marsiglia in un incontro che le circostanze hanno trasformato in una vera riunione di crisi, considerati i crolli a catena delle borse mondiali. La reazione non si è fatta attendere e ‘i grandi dell’economia’ sembrano aver ritrovato, almeno a parole, quello spirito di coordinamento globale che li aveva caratterizzati nel 2008. Una strategia che allora contribuì a limitare le ricadute del cataclisma finanziario innescato dal crack di Lehman Brothers. Oggi, visti gli inesistenti margini di manovra delle politiche di bilancio, terminati gli incontri a Marsiglia resta un fondo di scetticismo sul come si potrà concretamente attuare questo coordinamento, al di là delle dichiarazioni. La presidenza francese ha parlato dell’impegno a perseguire il difficile compito di conciliare rigore sui conti e tutela della crescita economica. In Europa tutti i governi hanno puntato la prua verso l’austerità e il risanamento dei conti, sotto le bordate dei mercati e della crisi debitoria, negli Usa invece l’amministrazione Obama ha appena annunciato un nuovo pacchetto di sostegni al lavoro. Secondo il commissario agli Affari economici dell’Unione Europea, Olli Rehn, le economie più in difficoltà della zona euro non hanno altra scelta che tagliare i propri deficit e debiti. “Per loro non è il momento del rilancio, devono continuare, o piuttosto intensificare, il consolidamento fiscale”, ha detto Rehn. Dopo diversi anni dal suo inizio, è ormai giunto il momento di riconoscere la crisi globale come un evento di portata storica, che ha radici profonde, ha dichiarato il ministro del’Economia Giulio Tremonti, che si è soffermato su tre punti principali. “Il primo è che in questi anni non è stata definita una distinzione tra crisi storica e ciclo economico”.
E non è mancata una citazione storica. “In omaggio alla Francia ho fatto l’esempio di re Luigi XVI, che pensava di essere di fronte ad una rivolta e invece gli dicono: ‘no, è una rivoluzione’. Lui continua a comportarsi come se fosse una rivolta e alla fine gli tagliano la testa”. Oggi avviene qualcosa di simile quando guardando alla crisi globale “si utilizza un linguaggio più da ciclo economico che da crisi storica”. Il secondo aspetto trattato nell’intervento, è che indipendentemente dai fattori che hanno scatenato la crisi, la sua causa profonda risiede “in 20 anni di globalizzazione – ha proseguito Tremonti – certo ci sono stati i mutui subprime, ma sono stati un incidente che ha attivato meccanismi strutturali profondi. In questa globalizzazione ci sono stati 20 anni di eccessi di finanze e di debiti” magari per finanziare squilibri commerciali con i nuovi Paesi emergenti”. Debiti che “spesso sono stati come dare alcool ad un alcolizzato”: hanno peggiorato il quadro. Tra questi eccessi sulle finanze Tremonti ha citato i salvataggi sulle grandi banche effettuati senza riorganizzarle. Terzo aspetto dell’intervento, “in un mercato globale le regole non possono essere locali”, ha avvertito Tremonti. Un aspetto su cui da anni il ministro è impegnato con una iniziativa, battezzata ‘global standard’, in cui con il coinvolgimento dell’Ocse si punta a trovare parametri regolamentari comuni da armonizzare a livello globale. Altro tema in agenda è stato quello della collaborazione con i Paesi del mondo arabo, dopo i diffusi episodi di tensioni sociali e gli sconvolgimenti di regimi, tra richieste interne di democrazia, che hanno coinvolto diversi Stati dell’area. All’incontro hanno partecipato anche i rappresentanti del Consiglio di transizione libico, che sperano di veder allargato anche a loro il piano di sostegno. Sul tavolo, in particolare, la questione dello sblocco dei beni appartenenti ai regimi oggi deposti, congelati nei giorni delle rivolte, di cui i nuovi governi attendono il ritorno. Si tratta non solo di denaro e immobili appartenenti agli ex governanti e ai loro entourage, ma anche di ingenti risorse finanziarie e pacchetti azionari in mano ai fondi sovrani. Un tema particolarmente sensibile per i rappresentanti libici, a cui sono già stati promessi a breve termine, dal presidente francese Nicolas Sarkozy, 15 miliardi di euro in beni scongelati. Tra le risorse libiche al momento bloccate ci sono anche partecipazioni in numerose società italiane, tra cui spicca il gruppo Unicredit.