Il taglio del costo del lavoro con un intervento sul cuneo fiscale già con la legge di Stabilità il 15 ottobre
E’ stata, l’ultima, la settimana dei messaggi: messaggi sono stati lanciati dall’Europa all’Italia, messaggi sono stati rispediti da Enrico Letta all’Europa, messaggi sono rimbalzati dal governo ai partiti, messaggi si sono alternati da un partito all’altro. Tutti, però, ruotano attorno a due questioni fondamentali. La prima è se l’Italia aggancerà la “ripresina” che si è affacciata in Europa e se rispetterà il limite del 3% nel rapporto debito/Pil nel 2013; la seconda è se ci sarà stabilità o instabilità politica, quindi se il governo terrà o cadrà.
I timori che la “ripresina” non si tradurrà in più occupazione sono molto diffusi tra i vari soggetti che compongono il mosaico del quadro economico: Governo, Confindustria, Europa, Banca d’Italia, eccetera. Gli accenti sono diversi, ma i timori sono gli stessi. Confindustria per prima, cioè gl’imprenditori, invitano alla pace sociale per non perdere il treno, ma gli esperti temono che i segnali positivi non solo arriveranno tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2014 ma, appunto, per una serie di meccanismi tecnico-economici, non saranno miracolosi. A costituire freni sono soprattutto la recessione in atto da vari mesi, il depotenziamento del sistema industriale, con il fallimento di piccole e medie imprese difficile da recuperare. Magari ci sarà più domanda, ma essa avrà difficoltà ad essere soddisfatta, appunto, dalle difficoltà strutturali di risposta. I messaggi di timore giungono dai partners europei. Nell’Ecofin dei ministri finanziari sono stati sollevati dubbi sull’evoluzione dei conti pubblici dell’Italia. Le preoccupazioni riguardano la capacità del governo di fare le riforme (taglio della spesa, investimenti produttivi, riforme della Costituzione, della Giustizia, del Lavoro) e la sua tenuta, cioè la sua stabilità.
Il premier Enrico Letta, a sua volta, in tutte le occasioni in cui si è trovato ad intervenire – La Fiera del Levante a Bari, la festa dell’Udc e quella di Scelta civica – ha rilanciato messaggi fiduciosi e rassicuranti. Ha puntualizzato, ad esempio, che il cammino della riforma della Costituzione è iniziato con un voto positivo della Camera, neutralizzando il tentativo di ostruzionismo dell’opposizione del M5S, e che “l’iter è già segnato”, cioè i diciotto mesi necessari per il dibattito alla Camera e al Senato con i relativi voti e passaggi (due per ogni ramo del Parlamento, come prevede la Costituzione stessa). Ha rassicurato l’Europa dicendo che “la legge di Stabilità la scriviamo noi, non Bruxelles”, che “ora abbiamo maggiore flessibilità grazie alla trattativa che abbiamo condotto sul cofinanziamento dei fondi europei”, che già nella legge di Stabilità ci sarà un abbassamento, seppur non eccessivo, delle tasse sul lavoro, facendo restringere il cuneo fiscale di qualche decimo di punto, per un totale di circa 2 miliardi, che s’inciderà sul taglio della spesa pubblica per rientrare nei parametri economico-finanziari e per raccogliere risorse per finanziare gl’investimenti e dare una spinta alla crescita.
Certo, Letta non si nasconde le difficoltà (“il massimo sforzo da quando sono premier? Mordermi la lingua molte volte al giorno”), ma avverte gli alleati (“Se dovesse cadere il governo, i decreti sull’Imu non verranno convertiti e quindi si dovrà pagare”) a non fare sciocchezze (“Penso che nessuno si prenderà la responsabilità di mandare a gambe all’aria il governo, perché è una responsabilità troppo grossa e poi va spiegata agli italiani. Entro il 15 ottobre salterebbe anche la legge di Stabilità, mentre oggi abbiamo la possibilità di andare verso un taglio del costo del lavoro con un intervento sul cuneo fiscale, così da far ripartire i consumi”. Letta avverte anche il suo partito, il Pd, quando fa notare a Renzi che in cinque mesi il governo non ha fatto una politica degli annunci, ma una politica di fatti, elencandoli tutti. “In questi cinque mesi”, ha detto, le cose sono cambiate, eccome”. “I costi dei giochi politici”, ha precisato il premier, “minano la ripresa. La fibrillazione ha fatto fermare la discesa dei tassi di interesse. Se non c’è la stabilità, noi non ce la caveremo”. Quest’ultimo avvertimento è rivolto sia al Pdl, qualora voglia provocare la crisi all’indomani del voto al Senato sulla decadenza di Berlusconi, che al Pd, qualora la battaglia congressuale e la prevedibile vittoria di Renzi metta in moto il meccanismo di accelerazione delle fibrillazioni per far cadere il governo e andare con nuovi alleati e nuovi slogan programmatici alle elezioni, un po’ come avvenne con l’investitura di Veltroni nel 2007 che cominciò a prendere le distanze dall’allora governo Prodi fino a provocarne il disfacimento e lo scioglimento delle Camere per nuove elezioni. Le analogie sono state annotate da tutti i commentatori politici.
Un ultimo messaggio Enrico Letta l’ha rivolto ai partiti e agli italiani, quando ha detto: “Nessuno è esente da responsabilità, io per primo”. L’allusione è a un certo “meridionalismo da struzzi” (“Più della metà delle auto blu è nel Mezzogiorno”), alla irresponsabilità (“L’unica strada per uscire dall’impasse è togliere la testa da sotto la sabbia” e dare sempre la colpa agli altri).
Quanto alla questione della decadenza, Enrico Letta punta sulla responsabilità di Berlusconi di dividere vicende personali da quelle politiche, e in ogni caso precisa che ancora una volta che il “dossier” non appartiene al governo, ma al Parlamento.