I parlamentari Pdl per le dimissioni dal Parlamento nel caso in cui la Giunta avesse votato la decadenza di Berlusconi il 4 ottobre. Napolitano: “Decisione grave”. Letta parla di “Italia umiliata” ma poi dà l’aut aut al Pdl e rinvia i provvedimenti economici che significano l’aumento dell’Iva il primo ottobre
Fino all’inizio della settimana scorsa c’erano tensioni, anche serie, nel governo, soprattutto a causa dell’aumento dell’Iva, che Saccomanni riteneva indispensabile e che Brunetta riteneva impossibile, invocando l’accordo programmatico e sostenendo, anche con una serie di proposte, la possibilità di trovare coperture, trattandosi di cifre dell’ordine di un miliardo e mezzo. Un paio di giorni dopo il clima si era rasserenato, lo stesso Saccomanni si era detto certo che le coperture sarebbero state trovate, dunque aumento dell’Iva scongiurato. Poi, all’improvviso, preceduta da una notizia secondo cui, una volta decaduto, la procura di Milano avrebbe arrestato Berlusconi, all’assemblea dei deputati e senatori del Pdl si è innescata un’operazione che nel giro di due giorni ha portato alla crisi, la cui responsabilità ogni parte l’attribuisce all’altra.
Eccone le tappe. All’assemblea dei gruppi del Pdl, Berlusconi dice: “E’ in corso un’operazione eversiva che sovverte lo stato di diritto ad opera di magistratura democratica. Essere stato buttato fuori per un’accusa infamante. Io non mollo, il mio dovere è resistere e combattere nonostante sia molto difficile perché ho contro tutti”. Nel suo intervento, il capogruppo al Senato, Renato Schifani propone ai presenti di considerarsi decaduti quando e se la Giunta voterà quella di Berlusconi nella riunione del 4 ottobre. La proposta viene accolta all’unanimità e nel giro di una giornata tutti firmano un atto individuale di dimissioni da parlamentare che viene consegnato nelle mani dei capigruppo. A non firmare sono 4-5, tra cui due ministri, Lupi e Quagliariello. Saranno però il ministro Lorenzin e Quagliariello a dichiarare che non farà più parte di Forza Italia se prevarrà l’estremismo.
Poco dopo è Giorgio Napolitano a replicare con durezza: “Non occorre neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare una ‘operazione eversiva’ in atto contro il leader del Pdl. L’applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto”. Poi Napolitano si fa più conciliante, perché ha capito che non è un atto definitivo: “C’è ancora tempo, e mi auguro che se ne faccia buon uso. L’orientamento assunto ieri sera all’Assemblea dei gruppi parlamentari del Pdl non è stato formalizzato in un documento conclusivo reso pubblico. Ma non posso egualmente che definire inquietante l’annuncio delle dimissioni in massa dal Parlamento”.
Da New York il premier Enrico Letta, che aveva parlato all’Onu e alla Borsa, dichiara: “E’ un’umiliazione per l’Italia. Serve un chiarimento nel governo e in parlamento. Voglio decidere insieme a Napolitano le modalità. Voglio che tutto accada davanti ai cittadini”. Di ritorno da New York, Letta si reca al Quirinale e decidono per un chiarimento parlamentare.
Intanto i capigruppo alla Camera e al Senato Renato Brunetta e Renato Schifani replicano a loro volta a Napolitano: “ L’opinione unanime espressa dai gruppi Pdl è quella dell’esistenza di un’operazione persecutoria da parte di una corrente della magistratura, al fine di escludere definitivamente dalla competizione politica il leader del centrodestra, a cui si aggiunge il voto della giunta per le elezioni del Senato con l’applicazione retroattiva della legge Severino. Questo voto calpesta un principio fondamentale dello Stato di diritto, quello della irretroattività delle leggi, confermato dall’art. 25 della nostra Costituzione e dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. In sostanza, il Pdl lamenta che per sbarazzarsi di Berlusconi si sono calpestate le regole: se la legge Severino è dubbia, bisognava far decidere alla Corte Costituzionale.
L’indomani, venerdì, Berlusconi rilascia una dichiarazione distensiva, dicendo che le dimissioni non erano state date ai presidenti delle Camere, ma ai capigruppo del Pdl, quindi erano un fatto interno che riguardava la votazione del 4 ottobre, dunque nessuno aveva aperto o parlato di crisi. Al Consiglio dei ministri, però, Letta dà al Pdl un aut aut: prendere o lasciare e rinvia tutti i provvedimenti economici che dovevano essere approvati, tra cui il decreto sull’Iva, in mancanza del quale il primo ottobre sarebbe scattato l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%, una misura ritenuta dal Pdl, ma anche dal Pd, deleteria per l’economia. La reazione del Pdl, comunicata da Berlusconi ad Alfano e da questi a Letta, sono le dimissioni dei ministri, che di fatto hanno aperto la crisi. Berlusconi ne attribuisce la causa a Letta che con il rinvio di provvedimenti ha automaticamente fatto scattare l’aumento dell’Iva, contrariamente agli accordi di governo. Letta, invece, dà la colpa a Berlusconi e alla sua irresponsabilità. Guglielmo Epifani considera le dimissioni dei ministri “un’ulteriore azione di sfascio”, mentre Grillo dichiara che non darà nessun sostegno e che si deve andare al voto. Monti afferma che “Scelta civica non mancherà di dare il proprio contributo a soluzioni di governo credibili”; Montezemolo si dichiara contrario ad una deriva populista e irresponsabile e si appella a tutti i moderati, mentre la Lega di Maroni plaude alle dimissioni dei ministri Pdl e chiede “le elezioni per vincere”.