Non siamo maghi e dunque non possiamo prevedere chi sarà il successore di Napolitano che, in teoria, potrebbe essere eletto anche alla fine di questa settimana. Non lo possiamo prevedere anche perché ci sono giochi sotterranei ancora e sempre in corso e ce ne saranno fino alla votazione in cui il nuovo presidente sarà eletto. Si sa comunque che il centrosinistra da solo non lo potrà eleggere con i suoi soli numeri e che la scelta condivisa sia quella dettata dal buon senso. A rigore, i voti del centrosinistra, a cui si aggiungerebbero una manciata di voti di franchi tiratori, potrebbero essere anche sufficienti per eleggere il nuovo presidente, ma a giudizio di tutti non sarebbe una scelta lungimirante perché in primo luogo il centrosinistra, pur avendo preso lo 0,3 in più del centrodestra, avrebbe, con il presidente della Repubblica, occupato tutti i posti istituzionali di potere, in secondo luogo sarebbe un atto di guerra nei confronti di altre forze e in particolare di quella direttamente avversaria, in terzo luogo sarebbe un atto di arroganza che potrebbe ritorcerglisi contro alla prima occasione.
Già offrire al centrodestra – dopo aver preso per sé la presidenza della Camera e del Senato e quella del Consiglio – una rosa di nomi tra cui scegliere un candidato comunque del centrosinistra non è certo una concessione tanto generosa, se poi la scelta fosse disgiunta da un accordo di governo, il centrodestra avrebbe – a ragione – serie difficoltà ad avallare scelte unilaterali.
Tutto, dunque, è possibile, ma chiaramente una scelta al posto di un’altra implicherà anche una maggioranza di governo fragile o solida, una prospettiva migliore o peggiore nei rapporti tra i partiti, e in definitiva dello stato di salute politica, economica e civile del nostro Paese. I nomi in circolazione sono i dieci proposti dal M5S: Bonino, Fo, Gabanelli, Grillo, Prodi, Rodotà, Strada, Zagrebelsky, Caselli, Imposimato; quelli per ora suggeriti non dal Pd ma da esponenti appartenenti al Pd sono: D’Alema, Finocchiaro, Prodi, Amato, Marini, Violante; quelli proposti dal Pdl: (Gianni) Letta, Pera, Martino; quello proposto da Sgarbi: Muti.
A questo punto, al di là dei giochi sotterranei e/o frutto di accordi politici, ci sono dei criteri a cui si deve rapportare una scelta di tal portata. Peserà la valutazione se è un laico o un cattolico (i cattolici, anche quelli del Pd, hanno rivendicato un presidente cattolico dopo il laico Napolitano; conterà (eccome) l’esperienza politica (il compito del capo dello Stato non è quello di un semplice notaio, l’abbiamo visto con il dinamismo e l’attivismo dell’attuale presidente); dovrà essere un uomo di prestigio e al tempo stesso non fazioso; dovrà avere “le physique du rôle”, come dicono i francesi (un giovanotto come Renzi, ad esempio, con tutto il rispetto, lo si vedrebbe male al Quirinale); infine, conta, seppure si tratti di un valore aggiuntivo, essere uomo o donna.
Se questi criteri sono validi, restano in campo D’Alema, Prodi, Finocchiaro, Amato, Marini, Violante, Rodotà, Bonino, Letta, Pera, Martino. Se, come sembra, al centrodestra non è dato proporre, ma solo scegliere, allora gli ultimi tre nomi vanno cancellati. Se dei cattolici si dovrà solo tener conto, va esclusa anche Bonino, i cattolici potrebbero votare un non credente, ma non Bonino, invisa alla gerarchia ecclesiastica. Se la scelta di un cattolico si rivelerà determinante, allora in campo resteranno Prodi e Marini, con Amato e Finocchiaro, i quali ultimi due non pensiamo siano avversi ai valori cristiani. Se, infine, il centrosinistra punterà su un cattolico riconosciuto e vorrà comunque salvaguardare uno spiraglio di dialogo con il centrodestra, la scelta si ridurrà a Marini, Amato e Finocchiaro, ma pensiamo piuttosto a Marini e ad Amato o magari solo a Marini se la Lega metterà il veto su Amato.
Poi, evidentemente, tutto può succedere, vale sempre il detto “in conclave chi entra papa rischia di uscire cardinale”.