Questa volta i magistrati hanno messo per davvero le mani sull’uomo della strage di Brindisi: “Dopo due truffe subìte ho perso la testa”
L’inchiesta sull’esplosione di tre bombole a gas messe in un cassonetto davanti alla scuola Francesca Morvillo Falcone, nella quale ha perso la vita la studentessa Melissa Bassi, sedici anni, e sono state ferite altre cinque studentesse, ha rivelato il volto dell’assassino: Giovanni Vantaggiato, 68 anni, sposato e padre di due figlie adulte, a loro volta sposate con figli, titolare, guarda caso, proprio di un deposito di gas e gasolio. Il “Male”, come è stato definito, è lui, ha confessato dopo molte ore di interrogatorio durante le quali ha negato tutto, fino a quando un inquirente, intuendo che l’assassino era lui, gli ha posto la domanda: “Per quello che hai fatto non hai paura per i tuoi nipotini? Non hai paura della rabbia dei mesagnesi? Quelli ti scuoiano”. E’ a quel punto che le difese dell’uomo fanno corto circuito e Giovanni Vantaggiato farfuglia qualcosa e dice: “Intendo rispondere”. Rivela tutto quello che ha fatto, come lo ha fatto, quando lo ha fatto e cosa ha fatto dopo: ritorno a casa, nessun rimorso, come se non fosse morta una ragazzina, ma una lucertola inavvertitamente pestata. Il movente su cui si scervellano e su cui hanno ancora dubbi i magistrati? “Ce l’avevo con il mondo intero”, ha risposto, ammettendo nei giorni seguenti che da tempo meditava di mettere la bomba, perché non aveva ottenuto giustizia (“I commercianti non sono tutelati dalla legge”) dopo due truffe subìte, dicendo che aveva perduto l’appalto del gas con la scuola Morvillo Falcone e che dopo lo scoppio si era voltato dall’altra parte e se n’era andato a casa “senza pensare” alle conseguenze. Forse ci sbagliamo, ma il Male ha raccontato, per una volta, la verità. Di lui, d’altra parte, viene dato un profilo che quadra con l’orrore che ha commesso. Ha rotto con tutti i fratelli e le sorelle, non aveva amici, ha sempre guardato il mondo attraverso le lenti dell’ombrosità e dell’interesse. Il suo orizzonte era la sua miseria interiore, e la prova è che di fronte a quello che ha fatto all’inizio non ha provato né rimorso e né compassione, non ha nominato nemmeno la povera Melissa. Probabilmente, non ne aveva parlato nemmeno a casa sua, e questo da un lato è augurabile per la moglie e le figlie, dall’altra la dice lunga sul suo modo di essere. Ma c’è anche un’altra verità: Giovanni Vantaggiato, padre e nonno è una persona normale, vuol dire che il Mostro si può nascondere in ogni persona comune. Giovanni Vantaggiato ripercorre le tragiche vicende con gli occhi distaccati di chi non pensa e non gliene frega niente degli altri, di nessuno. Quando l’inquirente gli domanda se non ha paura per i suoi nipotini, viene colpito nell’intimo di se stesso e alla fine cede, ma solo perché i suoi nipotini sono una parte di sé. Il Mostro passerà sicuramente il resto della sua vita in prigione. Solo dopo alcuni giorni ha chiesto perdono e si è detto pentito di quello che ha fatto.
L’inchiesta, dunque, ha dato i risultati sperati, ma non si può non mettere in luce i tanti punti oscuri che ne hanno caratterizzato il percorso. Non si può per il semplice fatto che in Italia si ripetono comportamenti indegni e indecenti, sempre rigorosamente impuniti.
Intanto, c’è una responsabilità della stampa se si fanno le ipotesi più astruse che poi non solo non trovano conferma, ma si rivelano terribilmente infondate. Si era parlato di mafia, di terrorismo, di Fai (anarchici) e alla fine si scopre che si tratta solo di una persona senza cuore e senza cervello. Fin qui, passi, fare ipotesi, in fondo, significa riempire le pagine in assenza di dettagli veri. Ma pubblicare il video del presunto attentatore è segno di grande superficialità investigativa. Non c’era bisogno di pubblicare quel video, bisognava indagare in segreto e controllare, verificare, valutare. Il procuratore antimafia, Piero Grasso, dopo la diffusione del video se n’è andato da Brindisi indignato per una leggerezza che si spiega solo con il desiderio di protagonismo mediatico di chi indagava.
Una volta individuato un sospettato, poi, cosa si è fatto? I magistrati non solo non hanno verificato prima di essere certi della sua colpevolezza, ma hanno passato l’informazione alla stampa. Dire che si tratta di un comportamento superficiale è dir poco. Dalla procura – e solo da essa – non solo è uscita e pervenuta alla stampa l’identità del sospettato, ma anche il suo indirizzo e il numero e c’è chi, come il giornalista Ruotolo, collaboratore di Santoro, ha pubblicato i suoi dati creando il mostro. Il povero Raffaele Niccoli era colpevole, in realtà, di una sola cosa: somigliare alla sagoma dell’uomo che si vede nel video. Quando sono state fatte le verifiche, si è appurato che il pover’uomo non c’entrava per nulla con la strage, perché il giorno prima e lo stesso giorno non si trovava a Brindisi. Non si fanno queste cose, però sia la magistratura, sia alcuni giornalisti le fanno, sempre impunemente.
“Non è un padre”, ha detto il genitore di Melissa, “perché un padre non fa queste cose”. Non si mettono bombe se non si vuole uccidere, se si mettono e se si lavora giorni e giorni per preparare la strage, vuol dire che si è davvero il Male, anche se il Mostro dice che ce l’aveva con il mondo intero, che poi è una frase fatta, detta solo per trovare una scusa qualsiasi alla cattiveria che si ha di dentro. A Melissa quel Mostro ha tolto l’adolescenza, i sogni e tutto quello che dalla vita avrebbe potuto avere.