In Afghanistan 4 marines urinano sui cadaveri talebani, in Iran muore lo scienziato della bomba in un attentato, in Iraq il vicepresidente sunnita viene colpito da un mandato di arresto da parte del premier sciita
Uno sguardo verso il Medio Oriente aiuta a focalizzare la situazione in quella vasta ed esplosiva regione. Cominciamo dall’Afghanistan, dove sono iniziate le trattative tra americani e talebani per trovare una soluzione pacifica e sicura per il Paese che gli Stati Uniti lasceranno nel 2014. La trattativa, si sa, non è facile, anche per l’opposizione del presidente Karzai che da una parte non è in grado di gestire il futuro del Paese senza gli americani, dall’altra non gode dei favori degli avversari che ritengono lui e il suo governo – e non a torto – incapace e corrotto. Se già di per sé non è facile, figuriamoci quando fatti di cronaca particolarmente raccapriccianti s’inseriscono di prepotenza nella trattativa stessa: quattro marines sono stati ripresi, evidentemente da un loro compagno che filmava la scena, mentre urinavano sui corpi di alcuni soldati afgani, probabilmente appena uccisi. Le immagini, di per sé già eloquenti, sono accompagnate dall’audio, altrettanto scioccante. Le voci, infatti, dicono: “Passa una bella giornata, amico” e “Dorata… come una doccia… yeah”. Forse, a manifestare orrore sono solo quei tanti che non sono abituati alle scene della crudeltà della guerra; forse, se si allarga l’orizzonte, si scopre che a protestare contro la “barbarie” sono soprattutto quelli che della barbarie spesso hanno fatto una bandiera, come tutti coloro che affermano il loro potere passando il tempo a sgozzare la gente. Fatto sta che i talebani hanno giocato la loro parte, evidentemente per ottenere di più dalle trattative. Da parte loro, i capi militari e politici americani hanno espresso il loro “sdegno” per quei fatti ed hanno promesso una rapida inchiesta e una esemplare punizione. Non ci vuole molto ad immaginare che gli autori dell’episodio prima saranno identificati (e le immagini rivelano i loro volti in modo nitido), poi richiamati e poi ancora processati e condannati. Resta in piedi la trattativa, che tutti dichiarano di volere ma che qualcuno vuole boicottare.
Se essa finirà per coinvolgere nella gestione del potere la parte moderata dei talebani, non si sarà svolta invano, altrimenti c’è il rischio di un nuovo Iraq. E proseguiamo, appunto, con l’Iraq, dove, dopo la partenza degli americani, anzi, addirittura qualche giorno prima, è cominciata la resa dei conti. Nuri Al Maliki, il premier sciita, ha accusato di terrorismo e di possesso di armi pesanti il vicepresidente Tariq Al Hashimi, sunnita. La perquisizione non ha fatto rinvenire nessuna arma pesante se non una pistola e un fucile per difesa personale, ma ugualmente il vice presidente è stato colpito da un mandato di arresto. Ha trovato ospitalità nella regione curda, in una delle ville del presidente, il leader (curdo, appunto) Jalal Talabani. Ai tempi di Saddam Hussein i sunniti, minoritari in Iraq, erano contro tutti; ora, invece, sunniti e curdi sono alleati. Sono i miracoli della politica. Ma ritorniamo al vicepresidente colpito da mandato di arresto. Le sue dichiarazioni sulla situazione irachena descrivono molto bene ciò che succede in quel Paese. Ecco un passaggio importante tratto da una sua intervista al Corriere della Sera: “Il grave dell’occupazione americana è che termina regalando l’Iraq all’Iran. A un mese dalla partenza del contingente Usa è sempre più evidente: siamo diventati de facto un Iraqistan. Lo ha ammesso pubblicamente persino il capo di Stato maggiore iraniano che il vacuum militare lasciato dagli americani sarà riempito da loro. E anche nel mio caso gli iraniani giocano sporco. I motivi sono anche di politica regionale. L’Iran cerca di salvare il regime di Bashar Al Assad in Siria, suo alleato storico. E l’Iraq diventa merce di scambio: se non cessate di lavorare per il cambiamento del regime in Siria, noi stravolgeremo l’Iraq. È un messaggio destinato non solo a Washington e alle Cancellerie occidentali, ma soprattutto alla Turchia, che sempre più si sta tessendo un ruolo di difensore degli interessi arabo-sunniti. Da Teheran dicono: va bene, cerchiamo un compromesso su Bagdad, ma al prezzo che se ne trovi uno anche per Damasco”. Quanto alla guerra durata nove anni in Iraq, il vicepresidente in fuga dice: “Saddam andava cacciato, ma sarebbe stato meglio che gli americani aiutassero con ogni mezzo gli iracheni a farlo da soli. Ci saremmo risparmiati i nove anni di orrore dell’occupazione militare e le sue conseguenze ancora più gravi”. In Iran l’ultimo attentato ha fatto saltare in aria lo scienziato della bomba, il professor Mostafa Ahamadi-Roshan, 32 anni, e questo certifica più di un qualsiasi trattato la guerra interna tra le diverse fazioni e le mani esterne che rimestano in essa. [email protected]