Sono già 34 le donne uccise dall’inizio dell’anno dai loro ex fidanzati o mariti che non si rassegnano alla fine della relazione o del matrimonio
In questi primi mesi del 2013 sono già 34 le donne barbaramente uccise dai loro ex fidanzati o ex mariti che non si sono rassegnati alla fine della loro relazione o del loro matrimonio. Sono, questi 34 casi, solo i delitti più crudeli e più noti, che hanno avuto risonanza in tv e sui giornali, ma tanti altri sono i casi riconducibili alle stesse motivazioni. C’è un serio rischio di moltiplicazione del reato per emulazione e le donne, ma non solo esse, stanno correndo ai ripari con denunce e sensibilizzazioni. La politica si sta muovendo di pari passo con le notizie sempre più allarmanti che provengono dalla cronaca. Si stanno muovendo Angelino Alfano (ministro degli Interni), Anna Maria Cancellieri (ministro della Giustizia) e Josefa Idem (Pari Opportunità).
Sul tappeto ci sono delle proposte, tipo il braccialetto elettronico che controlli chi già è stato sottoposto ad un provvedimento cosiddetto interdittivo, cioè che abbia ricevuto l’intimazione da parte dei carabinieri di stare alla larga da una determinata persona. Il braccialetto è utile anche per controllare chi abbia già subito una condanna e che possa reiterarla, ma la questione è più ampia e riguarda la protezione di chi abbia presentato denuncia nei confronti di un incensurato o anche che non abbia il coraggio di presentarla per una sorta di atteggiamento di sudditanza nei confronti dello stalker e che abbia comunque bisogno di protezione. Il problema è delicato e complesso, anche perché spesso è difficile intervenire e prevenire atti e atteggiamenti ai confini con la legalità ma che possono sconfinare senza molti preavvisi.
Ecco la dichiarazione di Anna Maria Cancellieri: “Mi confronterò con i magistrati al fine di creare dei pool specializzati all’interno delle procure. Non dovrà mai più accadere che una persona indagata per reati così gravi possa tornare libera per errore come è accaduto a Reggio Emilia”.
Il ministro degli Interni, Angelino Alfano, in seguito ai fatti gravi di cronaca, ha dichiarato che “bisogna trovare tutti i soldi che servono perché non può essere un limite di spesa o un vincolo di bilancio che possa fermare un governo che vuole difendere le donne”. Spesso, infatti non sono i provvedimenti quelli che mancano, ma i soldi per farli funzionare, oltre che la tensione e l’attenzione delle varie istituzioni ai vari problemi. A questo proposito, varie organizzazioni femminili chiedono la ratifica della Convenzione di Istanbul, in modo da ottenere proprio lo sblocco dei fondi attraverso la Convenzione “NoMore” che impone tra l’altro interventi per la formazione del personale e per la creazione di una banca dati per valutare l’entità del fenomeno.
Attualmente gli atti persecutori sono puniti dal codice penale (articolo 612 bis) “con la reclusione da sei mesi a quattro anni per chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Questa punizione “è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”. Il problema è un altro. In Italia, perché si possa procedere, c’è bisogno della querela della persona offesa, la quale ha sei mesi di tempo per compiere l’atto di denuncia. E il guaio è proprio questo, che per un motivo o un altro questa denuncia o non viene presentata o le forze dell’ordine e la magistratura non le danno peso.
Ciò che il governo è intenzionato a fare è che un provvedimento restrittivo o interdittivo posa essere adottato anche se la denuncia viene presentata da un familiare. Nel caso di percosse, il referto medico è valido per far scattare l’inchiesta e il conseguente provvedimento.