Il recente, leggero recupero dell’euro rispetto al franco svizzero (1 euro cambiato a 1 franco e venti) ha dato un po’di respiro all’industria ticinese, ma non ha risolto nessun problema, né ha allontanato i rischi di un’ulteriore ricaduta della moneta europea. Il problema, come si sa, si pone in maniera drammatica in Ticino, a causa del numero elevato di frontalieri e delle commesse in euro, ma si pone anche nel resto della Svizzera. Consapevole della pericolosità della situazione non solo per l’industria, che rischia o di chiudere o di chiedere troppo ai lavoratori (ore supplementari non pagate o diminuzione di salario a parità di ore di lavoro), l’Unione sindacale svizzera (Uss) ha chiesto alla Banca Nazionale Svizzera – e di conseguenza anche al Consiglio federale che dovrebbe legittimare e sostenere la proposta – d’introdurre un tasso di cambio fisso di un euro per un franco e quaranta. Solo in questo modo, sostiene l’Uss, si riuscirà a salvare industria e lavoratori, compresi i frontalieri. Se questa misura non dovesse essere presa, ci sarebbe un aumento del cosiddetto dumping salariale, cioè un progressivo abbassamento dei salari, in conseguenza anche dell’offerta di manodopera disponibile – anzi sollecita – a lavorare a condizioni minimali, creando così contrasti tra lavoratori e parti sociali e peggioramento delle condizioni di lavoro. È vero. Questa situazione si è venuta a creare con gli Accordi bilaterali e soprattutto con la libera circolazione della manodopera. Sia gli uni che l’altra sono una realtà positiva, ma in pratica hanno prodotto una situazione problematica. Come dire che non sempre ciò che è politicamente corretto e in sé positivo produce automaticamente risultati positivi. Potendo circolare liberamente, è ovvio che gente in stato di bisogno si sia diretta dove c’è lavoro e buone condizioni remunerative, ma è altrettanto vero che la corsa ha penalizzato una parte e ha avvantaggiato un’altra, anche se poi ha abbassato le condizioni generali rispetto ai livelli precedenti. Basta la proposta dell’Uss? Ad esserne convinti sono sia il presidente Paul Reichsteiner che il responsabile dell’Uss, i quali, perdurando il franco forte, preconizzano un peggioramento della situazione, fino a parlare, nella peggiore delle ipotesi, di “deindustrializzazione” e di “crisi economica”. Secondo Manuele Bertoli, consigliere di Stato, ciò non basta, né è immaginabile che si ritorni al passato stracciando gli Accordi bilaterali. Non basta se non altro perché i controlli dovrebbero essere a tappeto e sono comunque di dubbio effetto. Il passo decisivo per evitare disastri e contrasti è la necessità di dotarsi di norme salariali condivise tra datori di lavoro e i rappresentanti del personale, nei vari settori più esposti al dumping salariale. La sola arma del controllo è sempre spuntata; viceversa, quella dei contratti collettivi con norme salariali può essere quella giusta. Anche perché coinvolge un ampio ventaglio di soggetti, tutti interessati ad applicare questa normativa che finora è pressoché inesistente in Svizzera. Il dibattito è appena iniziato e forse qualche effetto lo dovrebbe sortire.