Molti vorrebbero un intervento armato per liberare il Paese dal regime di Assad ma nessuno può permetterselo perché la Siria non è la Libia
In Siria la tregua viene quasi quotidianamente trasgredita, con massacri di decine di civili morti in seguito a bombe o a vere e proprie stragi programmate. E qui comincia il balletto delle responsabilità. Gli osservatori Onu dicono che dietro i massacri vengono “sospettate” milizie pro-regime, il regime nega risolutamente ogni coinvolgimento, addossando invece la colpa a “gruppi armati” ostili al governo per creare una situazione di tragedia e per spingere la comunità internazionale ad intervenire militarmente. Il povero Kofi Annan sta di nuovo tentando di rilanciare il piano del cessate il fuoco concordato in aprile, ma sempre con maggiore difficoltà. La realtà è che la Siria è in un caos totale, dove ciascuna parte vi aggiunge la sua grossa parte di responsabilità. I rivoltosi, innanzitutto. Nessuno si fida di loro, non sono pochi i commenti degli esperti che non sanno chi è peggio: se Assad o i rivoltosi, in forte dissidio tra di loro. Un colonnello dell’esercito siriano libero ha lanciato un ultimatum che sarebbe dovuto scadere venerdì della settimana scorsa.
L’ultimatum prevedeva “il rispetto del cessate il fuoco, il ritiro delle truppe, dei carri armati e dell’artiglieria pesante dalle città e dai villaggi” e l’avvio di negoziati per “cedere i poteri al popolo siriano”, altrimenti gli oppositori avrebbero annullato la tregua. Contemporaneamente, un altro generale dell’esercito siriano libero, dalla Turchia, ha dichiarato che nessun ultimatum era stato lanciato, ma che si sperava che Kofi Annan avrebbe dichiarato fallito il cessate il fuoco per riprendere le ostilità contro il regime. Le opposizioni hanno tutto l’interesse a seminare il caos, stanno rinfocolando un clima di odio e di protesta, chiedendo armi e un intervento esterno per mandare via Assad e il regime, un po’ come è avvenuto in Libia, ma chi siano gli oppositori, quali garanzie possano dare, è un rebus. La Francia, per bocca del neopresidente François Hollande, ha detto di “non escludere un intervento militare”, ma così facendo si è attirato le critiche di molti Stati, tra cui la Germania, perché un intervento militare potrebbe essere l’esplosione del Medio Oriente. Il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, ha dichiarato che così la situazione non può durare, ha invitato Assad a presentare le dimissioni e a favorire un’evoluzione democratica. Quelle di Terzi sono considerazioni di ordine generale che non hanno nessuna conseguenza pratica. Il fatto è che molti, a parole, vogliono l’intervento militare per mettere fine ad un periodo di caos e di tragedie, ma tutti sanno un intervento complicherebbe e peggiorerebbe di molto la situazione. Perché? Perché la Siria non è la Libia. Gheddafi era in fondo solo nella comunità internazionale e tutti volevano disfarsene, come è accaduto. Gli unici che non avevano nessun interesse a farlo erano gl’italiani, i quali, pressati dal presidente della Repubblica e da una propaganda diffusamente contro il governo Berlusconi, alla fine hanno concesso le basi alla Nato e una volta che Gheddafi è stato ucciso e la Libia è stata liberata si sono accorti che in termini di approvvigionamento energetico e di convenienze di rapporti di vicinato prima avevano molto ed ora quasi nulla.
La Siria, dunque, non è la Libia. La Siria gode della protezione della Russia e della Cina, nonché dell’Iran. Russia e Cina l’hanno detto chiaramente: no ad un intervento Onu. Se poi ci fosse comunque un intervento, ad esempio di un singolo Stato o anche della Nato, allora sarebbe guerra per davvero, e non sarebbe un buon affare per nessuno. La Russia lo ha dichiarato esplicitamente più volte e in più occasioni che non permetterebbe un nuovo caso libico. E l’America? Obama e Clinton vorrebbero un intervento, ma non se lo possono permettere, in primo luogo perché, ripetiamo, la Siria non è la Libia, in secondo luogo perché gli americani sono stufi di fare guerre nel mondo. Fra un paio di anni usciranno dal pantano dell’Afghanistan, non possono adesso iniziare di nuovo con la Siria, sarebbe un suicidio da parte di Obama che chiede un secondo mandato presidenziale. I repubblicani lo stanno già massacrando con le critiche, addossandogli la colpa di tutti questi fuochi di rivolte nel nord Africa e in Medio Oriente. In parte hanno anche ragione, perché finora Obama è riuscito solo a destabilizzare i “vecchi regimi” del Nord Africa senza che essi siano stati rimpiazzati da nuovi e migliori governi o dalla democrazia. I repubblicani, d’altra parte, accusano Obama, ma, pur essendo favorevoli essi stessi ad un intervento, non possono dirlo e attuarlo per gli stessi motivi per cui Obama stesso non può farlo (contrarietà degli americani).
Ecco dunque che si assiste ad una situazione di paralisi rispetto a migliori prospettive, ma di peggioramento in termini di violenza. Il guaio è che nessuna delle parti, né il regime che si sente legittimato, né gli oppositori che si sentono dalla parte del giusto, sono disposti a fare un passo indietro, procrastinando così una condizione di pre-guerra civile che sfocerà prima o poi nella guerra civile vera e propria.