Fino a quando si è trattato delle tasse, il governo Monti, bisogna dargliene atto, ha fatto meticolosamente e puntigliosamente il suo dovere. A parte l’eventuale e mal augurabile passaggio dell’Iva dal 21% (che è già un’enormità) al 23% in autunno, che sarà messo in atto solo se non saranno stati raggiunti gli obiettivi di bilancio fissati, in fatto di balzelli non c’è più nulla da tassare perché si è tassato tutto, manca solo l’aria che si respira. Alla fine, però, si è capito che senza tagli alla spesa non si va molto lontano. Ma diciamo la verità, si sa che la soluzione – o meglio, una delle soluzioni -per abbattere il debito pubblico è quella di spendere di meno, ma quando si va a tagliare, sorgono ostacoli insormontabili perché in Italia la costante è una: tagliare è necessario, però bisogna tagliare non a me, ma solo agli altri. E’ per questo che nessuno è riuscito mai a tagliare, se non a praticare una sforbiciata (ma appena appena), così, tanto per sollevare un po’ di fumo. Lo abbiamo visto con la presidenza della Camera che alla fine ha deciso di togliere ufficio e personale agli ex presidenti, ma solo dopo dieci anni. Ci si domanda: ma perché un presidente della Camera non più in carica deve continuare a percepire assegni, a usufruire di locali e personale (un vero e proprio staff) e a utilizzare macchine blu, eccetera, se, appunto, il presidente è un altro? Mistero italiano. La stessa cosa, ovviamente, vale per il presidente del Senato e per tutti gli altri casi analoghi. La stessa danza la stanno menando i partiti a proposito del finanziamento pubblico, ora chiamato rimborso perché il finanziamento fu abolito per referendum e subito dopo resuscitò, appunto, con il nome di “rimborso elettorale”. In Italia tutti devono presentare i bilanci se si percepiscono finanziamenti da terzi, solo i partiti e i sindacati e affini sono sempre stati esenti. Altro mistero italiano. Vedrete che dopo dichiarazioni in libertà, tipo: “rinunciamo alla rata di luglio”, “il finanziamento sia fatto dai sostenitori con le donazioni”, ci sarà forse una sforbiciata (anche qui, appena appena, e non è sicuro nemmeno che avvenga) e tutto procederà più o meno come prima. La vera riforma del lavoro, dicemmo mesi fa, si misura dal grado di novità nella pubblica amministrazione. Orbene, è recentissima la notizia secondo cui la riforma non si potrà applicare al personale pubblico impiego, la fonte per eccellenza di sprechi e inefficienze. Tutt’al più, ci sarà qualcosa sulla mobilità, comunque da decidere con i sindacati, esattamente come avviene ora.
Monti è stato costretto a ricorrere a tre tecnici per attuare la “Spending review”, cioè per analizzare dove e cosa si può tagliare nella giungla della spesa pubblica. Il tecnico designato è Enrico Bondi, il risanatore di Parmalat, che si avvale di altri due fior di tecnici, l’economista Francesco Giavazzi per i contributi alle imprese e Giuliano Amato per il finanziamento a partiti e sindacati. Avranno 90 giorni per tagliare spese per 4,2 miliardi di euro. Riuscirà Giuliano Amato ad abolire le decine di migliaia di distacchi sindacali? Susanna Camusso ha già messo le mani avanti: “Saremmo di fronte ad un pericolo democratico”. Sulla reale riduzione strutturale della spesa pubblica si gioca la credibilità vera di Monti (altrimenti sarà costretto ad aumentare, appunto, l’Iva, un pessimo affare), ma di fronte ai “pericoli democratici” paventati da Camusso, quanto meno è lecito porsi una domanda: ma in quale altro Paese al mondo (ad eccezione, forse, della Grecia) lo Stato o una grande impresa paga lo stipendio a decine di migliaia di persone perché lavorino per altre organizzazioni? In sostanza: chi pagherebbe un idraulico perché vada ad aggiustare l’impianto di un altro? Speriamo che Amato risponda con coraggio. [email protected]