Già, perché rendendosi conto della difficoltà di governare da solo l’immenso impero, Diocleziano aveva maturato la decisione di sollevare al suo stesso rango di Augusto anche Massimiano, affiancando a entrambi un cesare, per garantire la successione, ma senza per questo mettere in discussione il principio unitario. Sapeva, però, che quella dei cesari non era una faccenda da prendere a cuor leggero, visto che si trattava di individuare implicitamente i futuri augusti. Pertanto, pensò di assicurarne in maniera più stretta la fedeltà, ricorrendo a una vincolante politica matrimoniale.
Purtroppo, mancando di figli maschi, se intendeva prolungare la sua discendenza, poteva farlo solo attraverso Valeria, con cui, dopo la delusione che aveva subito col tribuno Aurelio, intendeva procedere con tatto; ma alla quale, l’unico l’uomo che in quel frangente potesse garantire il prestigio reclamato dal suo stato, era solo Galerio. Costanzo, invece, sia sul piano militare che su quello umano, andava a meraviglia per Massimiano, tanto piccola era la rinuncia che avrebbe dovuto compiere, di accantonare cioè la stagionata Elena per la giovane Teodora!
Questa strategia matrimoniale, che introduceva un principio ereditario nella nomina dei successori, non lo rispettava però rigorosamente; e, tanto i progetti più accorti degli uomini possono rivelarsi fallaci, contro ogni previsione del suo ideatore, proiettava ombre inquietanti sul futuro. Siccome Massimiano, al contrario di lui, un figlio maschio l’aveva, di nome Massenzio: che per la sua giovane età si trovava per ora ad essere tagliato fuori dal gioco dinastico, ma che un giorno avrebbe potuto reclamare qualcosa. E ombre ancora più cupe, benché più imprevedibili, recava in sé l’unione di Costanzo con Teodora: visto che la madre Eutropia aveva intanto messo al mondo una bimbetta di nome Fausta: il cui destino, non meno di quello del fratello, avrebbe tragicamente intersecato quello di Costantino. Senza dire che da quel matrimonio sarebbero venuti al mondo cinque figli, tra i quali il futuro padre di Giuliano: la cui sola esistenza, minacciando di accantonate il bastardo di Elena, sarebbe stata all’origine di una serie impressionante di delitti. Ché la travolgente carriera di Costanzo non aveva mancato di alimentare in Elena l’impazienza di un benessere a lungo mediato dal miraggio della carriera di Costantino, nel quale, in un allegro scambio di prospettiva, inseguiva la sua stessa realizzazione. Non le bastava più ora che Costanzo si mostrasse affettuoso e premuroso, se all’esibizione dei propositi non seguivano i più tangibili effetti dello status conquistato. Quel ricongiungimento tanto auspicato, più che un’intensificata sequenza di abbracci, doveva comportare la fine della precarietà e l’eloquente ratifica della scalata sociale. Già la nomina di Costanzo a prefetto aveva liberato la frenesia della compagna, a malincuore disposta a mordere il freno ancora per poco, in vista della sistemazione bramata; ma allorché il prefetto era addirittura diventato cesare, Elena aveva stratosferato l’entusiasmo alle stelle, senza sospettare che proprio in quella dignità si annidava il tosco del suo abbandono, e la fine di ogni illusione.
Più consapevole di lei delle implicazione della promozione, Costanzo, da parte sua, piombò in un turbinio di rovelli. Pur non bramando il potere in maniera viscerale, come Galerio, non disdegnava certo la prospettiva di diventare giorno imperatore, e ben ne valutava l’importanza. Non poteva però ignorare, e in questo le parole di Massimiano erano state esplicite, che ciò comportava la rinuncia a Elena: che proprio quando sembrava così vicina a coronare il suo sogno, avrebbe invece visto franare tutto. L’avvenente adolescente di un giorno era ormai una matrona, che nulla aveva perso della sua asprezza, valorizzata, al contrario, da una matura sensualità che ne accentuava il fascino. Pur sentendosene attratto in maniera meno vorticosa degli esordi, Costanzo percepiva che proprio a quella dipendenza fisica si alimentava il suo amore. Ma dacché il pensiero aveva cominciato ad arrendersi alle necessità di sposare la più giovane Teodora, si era accorto che quella ragazza, con cui avrebbe dovuto condividere il talamo e il destino, aveva lasciato in lui ben più di un segno. Poche volte, fin là, aveva avuto modo di intravedere la misteriosa figliastra di Massimiano, la quale, per schermarsi dalle attenzioni del patrigno, seguiva ad ogni passo la madre, e si muoveva circospetta per il palazzo. Ma fin dal primo incontro Costanzo aveva avvertito verso quella sagoma asessuata un moto quasi di riverenza; e sotto il manto del rispetto aveva goduto della lusinga del saluto e di uno sguardo ricambiato non senza turbamento. E aveva rilevato che, da quando i vincoli della fedeltà a Elena e dell’ossequio alla principessa si erano allentati, e non per sua volontà, la mestizia di Teodora emanava una bruma di inquietante densità. I cui effetti, certo, erano più blandi del tormento provato a suo tempo per Elena; ma il cui fascino, più discreto, tendeva però maggiori insidie alle vaghezze dell’intelletto, che coglieva in lei una delicatezza d’animo quale mai la prepotenza fisica della compagna gli aveva consentito di decifrare. E con lecita valutazione Costanzo intese che, oltre ogni rassegnazione di necessità, in Teodora pulsava una sensibilità affine alla sua, che solo per scrupolo verso Elena non aveva osato confessarsi.
Il fatto è che Teodora gli piaceva davvero, e quindi quel matrimonio non gli avrebbe procurato, sotto questo aspetto, nessun sacrificio. Perciò, oltre la ragione di stato, ancora più grevemente scagliava su Elena l’affronto di una sposa più giovane. Quanto gli sarebbe stato più facile confidarle l’immolazione a un atto ripugnante, compiuto solo per dovere! E invece quant’era ora doppiamente difficile quella confessione: siccome Elena, fin dalle prime battute, sarebbe subito andata al cuore della questione che lui non sarebbe stato in grado di dissimulare, con accresciuta pena per entrambi. E intanto continuava a barare con se stesso, per non ammettere che Teodora, oltre a essere la futura imperatrice, era colei che avrebbe soppiantato anche negli affetti Elena: la donna che per quindici anni gli aveva riservato una fedeltà totale, condividendo progetti e cadute; la donna che gli aveva sacrificato i suoi anni migliori; la donna che gli aveva dato quel prodigio di figlio; la donna che per amor proprio mai avrebbe acconsentito a seguirlo da concubina ad Augusta Treverorum, e che pertanto stava perdendo per sempre. Ma comunque si analizzasse, anche in questa eventualità doveva ammettere di non provare una smisurata sofferenza. Si trattava, certo, di prendersi cura di Costantino; ma intanto riconosceva lucidamente quanto fosse scemata quella brama che inizialmente gli impediva di respirare senza di lei, e che si risvegliava solo nell’imminenza di una licenza, per ripiombare, nei lunghi mesi della lontananza, in una stagnazione catalettica. Così era da tempo placata in lui quell’ossessione possessiva, in cui è solo il bisogno a celebrare i suoi fasti, e che con la sua trafila di contorsioni e puerizie dell’amore costituisce appena una parodia. S’era dissolto quel qui pro quo per cui gli amanti, nell’omogeneità di un’evanescenza senza barriere, si sentono fusi al punto da scambiare il soliloquio per colloquio, planando immemori sull’elementare legge della fisica per cui un ponte si può forse gettare sull’abisso, tra due sponde salde, ma mai tra un nulla e l’altro.
E solo ora Costanzo, che non se l’era mai ammesso, realizzava che se il suo petto non fremeva neanche al pensiero che Elena potesse sfuggirgli, ciò significava che della passione di un giorno resisteva solo l’estremo sussulto del suo esaurimento, sotto forma di un dominio autorizzato. Ma come spiegare tutto questo a Elena?