Allo Ieo (Istituto europeo oncologico), fondato da Umberto Veronesi nel 1994, si è discusso di ricerca, di terapie e di diritti
Lunedì 3 giugno è stata la giornata dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo day), l’ospedale fondato nel 1994 da Umberto Veronesi, oncologo di fama internazionale. Lo Ieo accoglie cento mila pazienti all’anno, la maggioranza dei quali provenienti da fuori della Lombardia e molti anche dall’estero. In questo “Ieo day” si è discusso di ricerca e dei diritti dei malati.
Cominciamo dalla ricerca, di cui diamo alcuni flash. Il primo dei quali è che essa “va cambiata”. “Dieci anni”, ha detto Veronesi, “per portare un farmaco dal laboratorio al letto del malato sono troppi”. Evidentemente qualcosa non va nella ricerca se i tempi sono così lunghi. Anche la sperimentazione sull’uomo va ripensata e uno dei punti da cambiare è la cosiddetta “randomizzazione”, quando cioè un gruppo di malati viene sottoposto alla terapia standard e un altro ad una terapia innovativa. La selezione è oggi casuale (random) mentre sarebbe meglio scegliere i pazienti in base a criteri genetici. Ecco quello che ha detto il dottor Pier Giuseppe Pelicci, condirettore scientifico dello Ieo: “Il farmaco Crizotinib, per esempio, funziona solo in quei pazienti con tumore del polmone portatore di un’alterazione di uno specifico gene, l’Alk. E’ inutile, dunque, sperimentarlo a tappeto”.
Altro aspetto della ricerca da cambiare è il placebo, una sostanza priva di qualsiasi efficacia. Il dottor Aron Goldhirsch, vice direttore scientifico dello Ieo, ha detto: “Non è più accettabile dare a un paziente una sostanza che sappiamo essere inefficace”. Il direttore dell’unità di Psicologia, la dottoressa Gabriella Pravettoni, a proposito delle cure, ha precisato: “Non bastano cure personalizzate focalizzate sulla cura del corpo. Bisogna dare una risposta alla singola persona nella sua interezza, ricomponendo il puzzle del paziente senza volto”, alludendo al quadro di René Magritte, Il Pellegrino, che raffigura un uomo con una testa staccata dal resto del corpo.
Ed ecco il decalogo dei diritti del malato, con al primo posto il diritto ad “avere cure scientificamente valide” e al secondo “il diritto a cure sollecite”. Da noi, invece, si aspetta troppo prima di essere curati, gli esami hanno tempi non di rado inaccettabili. Nel campo dell’oncologia e a proposito di “cure sollecite”, Veronesi ha detto: “Non dovremmo avere solo otto o nove istituti oncologici, ma fare come la Francia, dove non ci sono liste d’attesa perché ce ne sono trenta”.
Il terzo diritto è quello di una “seconda opinione”, cioè la diagnosi e la terapia devono essere confermate da un altro parere. Il quarto è il “diritto alla privacy”. La privacy è una legge troppe volte sbandierata e altrettante calpestata. Il diritto alla privacy in un ospedale significa avere diritto ad una camera singola, altrimenti non è privacy. Quinto diritto: “Conoscere la verità sulla malattia”. Il sesto, collegato al quinto, è quello ad essere informato sulle terapie. In tutti gli ospedali italiani esiste il cosiddetto “consenso informato”, che è un foglio su cui c’è scritto che il paziente è stato informato sulle terapie e su rischi. In realtà, quel foglio, dice Veronesi, serve solo al medico per mettersi al riparo da eventuali “accuse di malpractice”. Il settimo diritto è quello di rifiutare le cure; l’ottavo è “il diritto a esprimere le volontà anticipate”. “Meno male”, afferma Veronesi, “che la proposta di legge sul fine vita non è andata in porto, perché imponeva esattamente il contrario”. Il nono diritto è quello a “non soffrire” (“abbiamo la morfina, usiamola”) e l’ultimo è “il diritto al rispetto e alla dignità”, quest’ultimo diffusamente calpestato negli ospedali italiani, perché è mancanza di rispetto e della dignità chiamare un’infermiera e attendere troppo tempo prima che venga oppure chiedere al medico informazioni sul proprio stato di salute o su quello dei congiunti e ricevere risposte evasive.