Berlusconi davanti ai vertici del Ppe offre a Monti la candidatura a premier e la leadership di tutta l’area moderata in cambio di un suo passo indietro
La settimana scorsa abbiamo sostenuto la tesi che segue. Dopo le dimissioni da presidente del Consiglio, Berlusconi voleva soltanto assicurare al Pdl e al centrodestra da lui fondato una continuità. Aveva investito su Alfano che però non “bucava” l’elettorato, non aveva il carisma del vero leader in grado di condurre le sue truppe moderate alla vittoria. Come Pdl, comunque, Alfano sarebbe stato il nuovo generale, ma puntava sulla ricomposizione dei moderati per puntare sulla vittoria del centrodestra. Pur di arrivare a questo risultato, si sarebbe fatto da parte e per questo lo aveva annunciato. Ma Casini e Fini hanno rifiutato il progetto. Berlusconi, abbiamo scritto, aveva poi chiesto a Monti stesso di riunire l’area dei moderati, possibilmente includendo la Lega, ma anche Monti aveva rifiutato.
Il suo ritorno, dunque, era un estremo tentativo per bloccare l’emorragia probabile di una fetta del Pdl verso l’Udc di Casini e Fare Futuro di Montezemolo che intendevano presentare una lista per l’Italia con leader e candidato premier proprio Mario Monti (il famoso Monti bis). Non solo, ma anche, a questo punto, per ricucire con la Lega e aspirare con una coalizione di centrodestra non tanto ad una improbabile vittoria , quanto a mantenere una folta rappresentanza parlamentare per rilanciare il centrodestra.
Per fare questo, e per sfuggire alla tenaglia del Pd e del centro di Casini, Berlusconi doveva puntare a distinguersi dal governo e a metterne in risalto i punti deboli per attrarre i delusi.
E’ ciò che è successo, ma Alfano ha usato toni ultimativi o, quanto meno, è ciò di cui lo hanno accusato. A questo punto l’entrata in gioco di Berlusconi ha sollevato polemiche perché non solo Monti lo ha neutralizzato annunciando le sue dimissioni un minuto dopo l’approvazione della legge di Stabilità e mettendo in cattiva luce Berlusconi stesso in Europa, ma anche la Lega, dopo avergli chiesto proprio le distanza da Monti, lo ha incastrato dicendogli che l’alleanza tra Lega e Pdl sarebbe stata siglata non solo a condizione che il Pdl avrebbe sostenuto la candidatura di Maroni alla presidenza della Regione Lombardia, ma anche a condizione che il candidato premier sarebbe un altro e non Berlusconi.
Insomma, Berlusconi la settimana scorsa era partito, come si dice, per suonare il piffero della riscossa ed era stato suonato su tutti i fronti, anche da una nutrita frangia di parlamentari del Pdl che sarebbero stati pronti ad una scissione nel nome di Monti ed unirsi a Casini, seppure in maniera autonoma, senza l’abbraccio con il Pd di Bersani e Vendola. Addirittura, a favore di Monti e contro Berlusconi era scesa in campo Merkel e vari leader del Ppe, quel Partito Popolare europeo di cui Berlusconi stesso faceva parte. Una sconfessione così plateale avrebbe avuto certamente ripercussioni elettorali disastrose e sarebbe stato umiliante per lui, tanto più che i media parlavano addirittura di espulsione in quanto i leader del Ppe non potevano sopportare atteggiamenti populisti e antieuropei da parte di chi avrebbe potuto trascinare l’Italia nel vortice della speculazione e far avvitare tutta l’Europa in una nuova crisi dell’euro.
A Bruxelles i vertici del Ppe avevano addirittura invitato segretamente Monti che pur non facendo parte del Ppe sarebbe stato così investito di un ruolo su cui in Italia puntavano già Casini e Montezemolo. Insomma, era in atto una manovra di grandissime proporzioni e di enorme caratura per costringere Berlusconi a farsi da parte definitivamente.
Cosa è successo a Bruxelles? E’ successo semplicemente che Berlusconi, parlando davanti a tutti e a Monti stesso, ha dichiarato quello che aveva sempre detto e cioè che lui non solo non era un antieuropeo, ma che lui sosteneva proprio Monti come leader dell’area moderata di cui il Pdl sarebbe stata una componente importante. Se Monti avesse accettato, lui, consapevole di essere il problema, se ne sarebbe tornato nelle seconde file. Va detto che Berlusconi ha detto pubblicamente ciò che aveva sempre chiesto in privato sia a Casini prima che a Monti stesso dopo, ricevendo solo rifiuti. In questo modo l’ex premier ha rimesso in un angolo Casini e Montezemolo, ma ha anche fermato i montiani del Pdl, i quali, comunque, hanno ottenuto il passo indietro di Berlusconi. Inoltre, candidando Monti premier, ha ricollocato nell’isolamento la Lega, delineando la sconfitta del Pd.
Monti non ha ancora scelto o ha scelto e non ha ancora voluto comunicare la sua scelta. Se Monti dunque accetterà, l’area dei moderati, pur divisi in varie sigle, non solo inizierà a ricomporsi, ma ha ottime possibilità di vittoria, tanto più che anche i montiani del Pd potrebbero essere interessati alla prospettiva. Se Monti non accetterà, se non vorrà il Pdl a suo sostegno, perché non vuole mettersi contro lo schieramento del Pd o vuole fare il presidente della Repubblica col sostegno del Pd e l’aggiunta del centro, allora è chiaro che anche Berlusconi è legittimato – di fronte al Ppe e ai montiani del Pdl stesso – a fare gl’interessi del suo partito e dello schieramento che riuscirà a mettere in piedi. Non gli si può, insomma, chiedere di uscire di scena e di contribuire a far sparire anche il Pdl per fare soddisfazione a Casini, a Fini e a tutti coloro che vogliono vederlo impiccato e pagarsi anche la corda.