Il viaggio di Obama in Asia – e in modo particolare in Cina – è terminato sotto il segno di un impegno che avrà un lungo percorso negli anni a venire.
Il secolo scorso è stato caratterizzato da un filo speciale tra gli Usa e l’Europa; quello nuovo, pur senza rinunciare, crediamo, a quella specie di cordone ombelicale tra i due vecchi partners, sarà caratterizzato da un’intesa speciale tra Usa e Cina.
Come tutte le grandi e durature partnership – finora divise su tutto – l’inizio era destinato a puntare su impegni globali e strategici. Era un po’ come tracciare i punti di accordo e di disaccordo, gli interessi di ognuno e poi cercare di dare concretezza agli accordi con atti concreti e mirati.
In questo senso, pur avendo Obama ribadito la necessità di mettere l’accento sui diritti umani, l’argomento è stato chiaramente posto senza convinzione, giusto per soffiare un po’ di fumo negli occhi dei Paesi occidentali. La Cina, da quest’orecchio, non ci sente e dunque ha lasciato correre sapendo che il tema non è un ostacolo. Sul clima i due Paesi si sono impegnati a costituire un “Centro di ricerca sull’energia pulita”, ma si sa già che la Conferenza prossima di Copenaghen sarà un mezzo fiasco perché gli obiettivi ambiziosi (riduzione dell’inquinamento dell’80% entro il 2050) sono un sogno che si scontra con la dura realtà e cioè che in modo particolare la Cina deve pensare allo sviluppo e alla crescita economica e quindi l’inquinamento, al di là delle dichiarazioni di principio, resta un aspetto secondario. D’altra parte anche gli Usa sono alle prese con una crisi pesante e se è vero che il rinnovo delle tecnologie e delle fonti energetiche alternative rappresenta possibilità di occupazione e di lavoro compatibili con l’ambiente, è vero anche che questi obiettivi non si raggiungono tanto presto e tanto facilmente.
È, come detto, sugli impegni strategici che i passi compiuti sono visibili. Il G2 è stato collocato nell’ambito di una “fiducia strategica bilaterale”. Vuol dire che gli Usa hanno riconosciuto alla Cina il ruolo enorme che può svolgere nel mondo, sia in campo economico che in quello politico, sotto il segno della stabilità e della pace. La Cina ha incassato questo riconoscimento ed è come se davanti a sé fosse stato spianato un cammino senza ostacoli. Insomma, la Cina ha preso il ruolo di grande potenza che nel secolo scorso era stato dell’Urss.
La Cina, dal canto suo, ha riconosciuto il ruolo degli Usa nello scacchiere asiatico del Pacifico, per cui – e questo è un fatto di grande portata sia per l’economia che per la pace – gli americani, in quella vasta e a volte turbolenta regione, avranno il suo sostegno. Come compensazione evidentemente ha avuto via libera in Africa, dove, a prezzo di nuovi e laceranti sfruttamenti, la colonizzazione è profonda e spietata.
Il risultato maggiore di questo viaggio e di questa intesa globale è che alcuni temi scottanti saranno affrontati non da nemici ma da amici. Per la prima volta in modo esplicito anche la Cina ha dichiarato che si opporrà alla proliferazione nucleare in Iran. Ciò è suonato come un campanello di allarme a Teheran, che ha bloccato le trattative sul controllo nucleare da parte dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu) ew adesso o ritorna sui suoi passi oppure sarà sanzionata senza trovare questa volta una sponda benevola tra i cinesi.
L’altro grande tema oggetto dell’intesa è la lotta contro il terrorismo in Afghanistan e in Pakistan. Per gli Usa e per l’Alleanza Atlantica avere dalla loro parte la Cina in quella regione significa da una parte allentare nel futuro più o meno prossimo l’impegno militare e dall’altra coinvolgere la Cina nel processo di pace e di crescita economica.
Riepilogando, gli accordi destinati ad allargarsi a diversi settori specifici sono tre. C’è quello delle relazioni bilaterali che riguardano i contatti a vari livelli e i gruppi di lavoro sul narcotraffico e terrorismo, cooperazione sulla difesa, sanità, aviazione, agricoltura; c’è quello dell’economia e quello della lotta alla proliferazione nucleare con particolare riferimento non solo all’Iran ma anche alla Corea del Nord.
Nel 2010 sarà Hu Jintao a recarsi negli Usa e presumibilmente le visite ai massimi livelli saranno una consuetudine nei prossimi anni.
Nei giorni successivi, dopo la visita in Cina e la lezione di economia tenuta da Giulio Tremonti davanti ad una platea di operatori e futuri uomini di istituzioni, il ministro degli esteri italiano ha detto che il tavolo tra Usa e Cina non può reggersi su due piedi, ma è necessario almeno un terzo piede, quello dell’Europa, che però sta muovendo i primi passi con la nuova Costituzione che cerca di dare più stabilità e più continuità alle istituzioni dell’Unione i cui rappresentanti comunque devono sbrigarsi ad essere all’altezza dei loro compiti.
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