Martedì mattina 9 marzo a Torre Ovo, in provincia di Taranto, si è suicidato Pietrino Vanacore, il portiere del palazzo di via Poma, all’interno del quale il pomeriggio del sette agosto del 1990 fu uccisa Simonetta Cesaroni. Pietrino Vanacore fu accusato ed arrestato, ma poi fu scagionato definitivamente, anche se la convinzione degli inquirenti era ed è che non ha mai detto tutta la verità per coprire forse qualcuno.
Vediamo i fatti. Simonetta Cesaroni fu assassinata in via Poma (zona Casilina a Roma) nell’ufficio di uno studio commerciale (Reli Sas) gestito da Salvatore Volponi, dove lavorava come segretaria contabile. Il cadavere, trafitto da 29 coltellate, fu ritrovato dalla sorella Paola.
Pietrino Vanacore, uno dei portieri di via Poma, fu arrestato il 10 agosto e scarcerato il 30 dello stesso mese. Secondo gli altri portieri dello stabile, si sarebbe assentato nell’ora del delitto, fissata dall’autopsia tra le 18 e le 18:30. La ragazza fu ritrovata seminuda con i calzini, il top e il reggiseno sollevati e con una forte ecchimosi sulla testa, uccisa da 29 coltellate e con una ferita al capezzolo dovuta ad un morso.
Il 26 aprile del 1991 Pietrino Vanacore esce dal processo, insieme ad altre cinque persone, per cui al momento non c’è nessun colpevole, ma un anno dopo, il 3 aprile 1992 ad essere indagato fu Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle, che abitava nel palazzo di via Poma. Ad accusare il giovane fu un austriaco, Roland Voller, che sostenne di essere entrato in contatto con la madre di Federico e che gli avrebbe detto che suo figlio era rientrato sporco di sangue. Due mesi dopo, il 16 giugno del 1993, anche Federico Valle viene scagionato per “non aver commesso il fatto”.
Il 20 agosto 2005 per una pancreatite muore il padre di Simonetta. Il 12 gennaio 2007 a Matrix viene rivelato, dalle indagini del Ris di Parma, che il dna trovato sul reggiseno e sul top di Simonetta apparteneva a Raniero Busco, all’epoca fidanzato di Simonetta e che la ragazza non sarebbe morta tra le 18 e le 18:30 ma alle ore 16.
Il 6 settembre del 2007, dopo ben 17 anni, finisce sotto inchiesta Raniero Busco con l’accusa di omicidio volontario. L’uomo ammette il rapporto intimo con Simonetta, che avvenne, però, il giorno prima a quello della sua morte.
Il 3 febbraio di quest’anno inizia il processo, la nuova perizia sposta ulteriormente all’indietro l’ora della morte di Simonetta: dalle 18-18:30 alle 16 e quindi alle 15:30.
Vanacore, venerdì 12, sarebbe dovuto andare a Roma per rispondere alle domande del pm: non era né indagato, né accusato di alcunché, doveva semplicemente andare a testimoniare.
È evidente che il suicidio di Pietrino Vanacore è da mettere in relazione con la riapertura del processo, ma è sulle cause che lo hanno portato a quel gesto estremo che riprendono corpo i dubbi.
Testimoni hanno visto Pietrino parcheggiare la sua macchina e dirigersi verso la scogliera con una corda alle spalle. Poi quello che ha fatto appare chiaro. Ha legato la corda ad un pino vicino allo scoglio, l’ha legata alla caviglia con l’altra estremità, ha bevuto mezza bottiglietta di anticrittogamico (veleno) e si è buttato in mare, dove è stato ritrovato affogato e trattenuto dalla corda, come per dire: voglio farla finita, ma voglio che ritrovino il mio corpo.
Sul cruscotto della sua macchina c’erano due fogli: su uno c’era scritto “20 anni perseguitati senza nessun colpa”, sull’altro “Vent’anni di martirio senza colpa”. Il pm e la procura sostengono che Pietrino Vanacore, pur non avendo commesso il fatto, era uno che non aveva detto tutta la verità su quanto sapeva, che c’era una stranezza nel suo atteggiamento e che questa stranezza avesse a che fare con il fatto che il cadavere di Simonetta, prima dell’arrivo della polizia, era stato spostato da qualcuno che le aveva preso il polso per verificare se il cuore batteva o meno e che nel poggiare il braccio a terra lo aveva spostato dalla sua posizione di prima. Infine, che il pavimento era stato ripulito e che la moglie di Vanacore aveva dato le chiavi dell’ufficio alla sorella e al datore di lavoro solo dopo le insistenze di costoro.
Raniero Busco, l’allora fidanzato ora accusato, otto mesi fa su un giornale ha lanciato il seguente messaggio: “Qualcuno non è a posto con la coscienza. C’è chi sa e non parla. Maledetto. Dovrai provare tutto il mio dolore in una sola volta. Non ho mai odiato nessuno, mai… Salvami. Tu sai chi ha ucciso Simonetta. Devi parlare”. Raniero Busco non ha fatto nomi, ma che si rivolgesse a Pietrino Vanacore è chiaro a tutti.
Il processo andrà avanti, sono in molti a pensare che Pietrino coprisse qualcuno di quell’alta borghesia che viveva in quel quartiere, probabilmente sarà la moglie ad essere interrogata. A lei il pm chiederà qual era il segreto che Pietrino s’è portato con sé, se a portarlo al suicidio è stato il martirio di 20 anni di sofferenza ingiustamente patita o se è stato il rimorso per un nome mai fatto e, in questo caso, per quale motivo.