Un anno e mezzo fa a Campobello di Mazara un giovane in stato di ebbrezza a velocità sostenuta e si schiantò contro una 600 provocando una strage
“Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”: è un versetto di Dante Alighieri, scritto circa sette secoli fa, ma sempre attuale, e riguarda l’applicazione delle leggi, che ci sono, ma che, appunto, non vengono applicate. Allora come ora. E’ il succo della dichiarazione rilasciata da Claudio Congedo, avvocato di parte civile, in merito alla sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Marsala a carico di Fabio Gulotta, 22 anni, che la sera del 15 gennaio 2011 era alla guida della sua Bmw con un tasso alcolico di 0,72 e che ad un incrocio ha investito la Fiat 600 su cui viaggiava una famiglia di 4 persone: padre (alla guida), madre e due figli di 10 e 12 anni, tutti morti. Morirono sul colpo la madre Lidia Mangiaracina, di 37 anni, il figlio Vito, 10 anni, e la figlia Martina, 12. Il padre, gravemente ferito, sarebbe uscito mesi dopo dall’ospedale, ma si uccise per ricongiungersi ai suoi cari, come egli stesso aveva lasciato scritto, ma anche perché dopo quella tragedia fu umiliato dal concorso di colpa che il giudice gli attribuì.
Dunque, la sera del 15 gennaio, i quattro uscirono da una pizzeria di Campobello di Mazara per andare a casa. All’incrocio tra le vie IV Novembre e Vittorio Emanuele, l’uomo, Baldassare Quinci, 43 anni, maresciallo dell’Aeronautica, non si fermò allo stop. In ogni caso, la sua auto di piccola cilindrata procedeva lentamente: non si fermò allo stop perché non vide nessuno. All’improvviso gli piombò addosso la Bmw di Fabio Gulotta, che, con un tasso alcolico di 0,72, correva in città a 120 all’ora. L’impatto fu violento, con le conseguenze sopra descritte.
Va detto che Fabio Gulotta già in precedenza era stato sorpreso con un tasso alcolico di quel livello ed aveva causato un altro incidente. Sei mesi dopo, il suicidio di Baldassare Quinci, motivato come citato prima ma a cui non è stato estraneo il fatto che dal giudice si è visto addossare il concorso di colpa. Diciamo la verità: dal punto di vista formale, il concorso di colpa può essere giustificato, visto che comunque non si era fermato allo stop. Ma se non viene nessuno, quella trasgressione non può essergli imputata come concorso di colpa, responsabile al 50% dell’incidente. Se non viene nessuno e si passa, non succede nulla; se chi ancora non si vede, procede a 120 all’ora in pieno centro abitato, è chiaro che avrebbe provocato l’impatto anche se il maresciallo si fosse fermato e fosse ripartito non vedendo nessuno in quel momento. La colpa sta, infatti, nell’alta velocità in un centro abitato (da 50 all’ora a 120 la differenza c’è). Il giudice decide per il concorso di colpa e per lui è un motivo in più per farla finita. La sentenza del giudice ha condannato la settimana scorsa Fabio Gulotta a due anni di reclusione per omicidio plurimo aggravato dallo stato di ebbrezza, pena sospesa, quindi non ha fatto e non farà nemmeno un giorno di carcere e, come ha svelato l’avvocato di parte civile, non gli è stata ritirata nemmeno la patente. Ma lasciamo parlare il fratello di Lidia, Nicola Mangiaracina, il quale rivela un retroscena del processo che forse spiega la sentenza: “Questa sentenza è offensiva, è una sconfitta dello Stato e la vittoria di chi commette reati. Nell’indagine e al processo si sono alternati tre pubblici ministeri, due ci dissero che la procura non avrebbe mai accettato il patteggiamento che la difesa stava per chiedere, ma alla fine il loro avvocato ha chiesto il rito abbreviato mentre il terzo pubblico ministero ha chiesto proprio il patteggiamento. Come è possibile che la pubblica accusa chieda una cosa più favorevole di quella richiesta dalla difesa?. Sono i misteri della giustizia italiana. Recidivo, il patteggiamento poteva benissimo essergli rifiutato, invece no, gli è stato concesso. Ha aggiunto Nicola Mangiaracina: “Lo Stato oggi ha detto che si possono ammazzare quattro persone per la strada e farla franca. Claudio Congedo, l’avvocato di parte civile, ha chiosato: Oggi la giustizia l’ha fatta sporca ed è inutile che i politici intervengano reclamando norme più dure per chi provoca gravi incidenti stradali. Le norme attuali vanno bene, il problema è l’applicazione della legge”.
C’è però una novità, quella del giorno dopo la sentenza. Fabio Gulatto chiede perdono e i giudici ridimensionano la velocità della Bmw, sugli 80.