Standard&Poor’s declassa l’Italia e sette banche italiane, ma Bce e Fmi approvano la manovra economica e anche Credit Suisse dice che l’economia italiana “non va poi così male”
Politica con tante sfaccettature la settimana scorsa, con un’agenzia internazionale, la Standard&Poor’s, che declassa l’Italia con la riduzione del rating sul debito pubblico, e successivamente boccia sette banche declassando di un punto il giudizio: da A+ ad A. Le opposizioni saltano sull’assist di Standard&Poor’s, ma il premier bolla il giudizio come pregiudiziale politica nei suoi confronti e nella maggioranza c’è chi fa notare che sono giudizi parziali dettati da un’agenzia che nel 2007 non ha saputo minimamente prevedere la crisi economica. A dare man forte alla maggioranza ci sono giudizi analoghi di provenienza francese, ma la vera bordata contro Standard&Poor’s viene dalla Banca centrale europea (Bce) e dal Fondo monetario internazionale (Fmi), che giudicano positivamente le manovre economiche italiane invitando l’Italia ad affrontare la questione della crescita, che è all’ordine del giorno del governo. Anche uno studio di Credit Suisse conferma che l’economia italiana “non va poi così male” come qualcuno vuol far credere. E veniamo alla polemica tra la maggioranza e Tremonti, accusato di aver pensato alla tenuta dei conti, su cui il ministro insiste in ogni occasione internazionale (“I conti dell’Italia sono in ordine”), ma non alla crescita, che è ciò che reclamano un po’ tutti. C’è qualcosa di vero in quest’accusa, se è vero che anche Tremonti oggi dice che “ora è giunto il momento di pensare alla crescita”. In realtà, i rapporti ultimamente si sono un po’ deteriorati a causa di troppo potere accentrato nelle mani di un solo ministro, quello dell’Economia, appunto, che ha dettato agenda e tempi lasciando passare troppo tempo prima di prendere decisioni, tra l’altro sollecitate da altri ministri e dal premier in persona, come la riforma fiscale, che necessariamente presuppone tempi lunghi. Il silenzio di Tremonti alle sollecitazioni provenienti dalla sua stessa maggioranza ha spinto il premier ad accettare l’idea di settori del Pdl, in primo luogo dall’ex ministro della Difesa, Antonio Martino, di costituire una task force di esperti che possa fungere da cabina di regia sul tema dell’economia in generale e della crescita in particolare. Evidentemente questa proposta ha fatto scattare un campanello d’allarme in Tremonti che, come detto, anche lui, ora, parla della necessità di dedicare risorse ed energia alla crescita, da molti vista come il vero strumento per uscire dalla crisi. La polemica all’interno della maggioranza tra il premier e Tremonti riguarda anche la presenza alla Camera in occasione del voto sulla concessione o meno dell’arresto di Milanese, fino a un paio di mesi fa stretto collaboratore del ministro. Tremonti era in viaggio per il G7 sull’economia, quindi assente giustificato, ma alcuni hanno fatto notare che la presenza alla Camera non avrebbe implicato nessun ritardo rispetto all’inizio dei lavori al G7. La Camera, a scrutinio segreto, ha respinto la richiesta dell’arresto con 312 voti contro 305, con 7 franchi tiratori della maggioranza e con questo voto ha messo a tacere le opposizioni, in modo particolare il Pd, che in occasione del voto sull’arresto del senatore del Pd Tedesco votò per il non arresto. In sostanza, la maggioranza ha bollato l’atteggiamento del Pd come strumentale e opportunistico, perché quando ad essere arrestato è un parlamentare del Pd questo partito lo salva, quando è uno della maggioranza si lancia in invettive moralistiche. E veniamo alla richiesta di dimissioni del premier da parte delle opposizioni, Udc compresa, per la quale le dimissioni sono una pregiudiziale per rientrare nella maggioranza o per appoggiare un altro governo di centrodestra. La questione è nota: Berlusconi viene dipinto come un criminale, viene rinviato a giudizio quando ad essere intercettato sulla scalata alla Banca Nazionale del Lavoro erano Fassino e Consorte, accusato (Berlusconi) di aver pubblicato una notizia coperta da segreto. Quando vengono pubblicate intercettazioni che dovrebbero non solo rimanere segrete, ma non dovrebbero nemmeno essere registrate trattandosi di un parlamentare, nessuno viene incriminato e gli stessi magistrati calpestano la legge sulla privacy senza che nessuno dica nulla. Tra l’altro, lo stesso pm di Milano voleva proscioglierlo dall’accusa perché tutti hanno dichiarato che il premier non c’entrava con la storia, ma il gip ha preteso una nuova accusa mettendo in crisi lo stesso pm per il quale il premier non c’entra con l’intercettazione pubblicata su Fassino e Consorte. Insomma, Berlusconi deve per forza essere colpevole, anche di ciò che non ha commesso, e tutti vogliono incriminarlo, anche quelli che per incompetenza territoriale non potrebbero per legge. Da parte della maggioranza e dello stesso premier si insiste sul fatto che non mollerà, che è deciso a portare avanti le riforme e che le accuse sono solo arma di lotta politica e di imbarbarimento. Il Pdl, però, ha aperto all’Udc di Casini sulla riforma dell’attuale legge elettorale, oggetto di una raccolta di firme da parte delle opposizioni per arrivare ad un referendum. Casini è rimasto sulle sue posizioni. A proposito, il dimezzamento dei parlamentari è in discussione in commissione al Senato, come pure il disegno di legge sull’abolizione delle province, anche se questo tema è stato rinviato di 90 giorni, in attesa dei primi risultati della commissione paritetica chiesta da tempo da Regioni, Province e Comuni. Su tutti e due i provvedimenti, comunque, non c’è da mettere la mano sul fuoco, visto che a decidere sono proprio quei parlamentari o quei soggetti, di maggioranza e di opposizione, che poi non potrebbero più essere eletti di nuovo.