L’Italia offre un compenso di 150 mila euro alle due famiglie dei pescatori uccisi a titolo di “atto di donazione”
Ci sono novità per quanto riguarda la vicenda dei due marò italiani arrestati in India e accusati di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati. La novità consiste nel fatto che l’Italia ha offerto ai familiari delle vittime 300 mila euro, 150 mila a testa, quale atto di donazione extragiudiziale. In pratica, la donazione non avrebbe nessun nesso con la responsabilità reale dell’incidente, ma, appunto, sarebbe un atto spontaneo per venire incontro alle esigenze delle famiglie in questione. In sintesi, non un risarcimento, ma una donazione. Questa novità, preparata da tempo, ha a sua volta innescato un’altra reazione, quella del governo indiano che, davanti alla Corte Suprema di Nuova Delhi, ha sostenuto che la polizia locale non aveva nessuna autorità a bloccare la nave italiana Enrica Lexie nel porto di Kochi, nello Stato del Kerala, in quanto l’incidente era avvenuto nelle acque internazionali. Ora si tratta di sapere come la magistratura condurrà la vicenda: se seguire il solco tracciato dal governo indiano, con il quale quello italiano ha aperto a suo tempo una trattativa, oppure se insisterà nel sostenere la colpevolezza dei due marò. In ogni caso, il tribunale potrebbe trovarsi nella situazione scomoda di dover condurre un processo con le famiglie dei pescatori che rinunciano all’azione giudiziaria e con un governo che riconoscendo la territorialità dell’incidente nelle acque internazionali toglie motivazione al processo stesso.e riconosce al governo italiano il diritto di giudicare i due marò. Per la prima volta da due mesi a questa parte la vicenda ha iniziato a prendere una piega diversa, indipendentemente dalla conclusione delle indagini. Tra parentesi: la perizia balistica, non ancora conclusa ufficialmente, pare sia stata oggetto di contestazioni da parte degli esperti italiani. In particolare, i documenti che ne illustrano la modalità, nei vari passaggi burocratici, pare siano stati manomessi a favore della tesi della colpevolezza, mentre i due marò hanno sempre sostenuto che non sono stati loro ad ucciderli. Come è nata la trattativa? E’ nata dopo qualche settimana dall’incidente, il 28 febbraio, quando nel palazzo dell’Alta Corte del Kerala, l’avvocato indiano della moglie di Valentine, uno dei pescatori uccisi, ha lanciato un messaggio all’avvocato della parte italiana. Il messaggio era che se si fosse ottenuto un risarcimento la famiglia della vittima avrebbe rinunciato all’azione giudiziaria. A questo punto si sono messi al lavoro gli esperti per conto del governo italiano, che hanno aperto canali sia con le famiglie, sia con il governo indiano.
Con le famiglie: l’accordo finale ha riguardato il metodo e il contenuto. Sul metodo l’accordo è stato chiarito e ufficialmente presentato ed accettato come una donazione, in questo modo si è salvata la faccia sia nei confronti del tribunale che nei rapporti tra gli Stati. Sul contenuto l’accordo finale è stato di 150 mila euro a famiglia. Questo vorrà dire che le famiglie rinunceranno all’azione giudiziaria. Con il governo: la trattativa ha riguardato il rispetto del diritto internazionale e la competenza giurisdizionale. Accertato che l’incidente è avvenuto nelle acque internazionali, il diritto internazionale recita che gli accusati devono essere giudicati da un tribunale dello Stato sotto la cui giurisdizione ricade la proprietà della nave e la nazionalità degli indagati. Raggiunto l’accordo con il governo indiano, si trattava solo di studiare come si sarebbe tradotto in elemento capace di dare una svolta al contenzioso. L’occasione è stato il ricorso presentato dall’armatore della Enrica Lexie alla Corte Suprema di Nuova Delhi al fine di ottenere lo sblocco del fermo della nave nel porto di Kochi. In questa occasione il governo indiano ha sconfessato l’operato della polizia locale, sostenendo “che non aveva l’autorità per fermare la nave italiana Enrica Lexie, né per indagare sul caso perché l’incidente è avvenuto in acque internazionali”. Lasciamo da parte la reazione della polizia locale che, a sua volta, smentisce di aver agito autonomamente, quello che conta è che anche il governo indiano ha dichiarato ufficialmente che l’incidente è avvenuto in acque internazionali e che quindi è evidente che la giurisdizione per un processo non è l’India ma l’Italia. Ora, appunto, è una questione di tempo, di procedure burocratiche, di passi che salvino la faccia a tutti i protagonisti della vicenda, dalla polizia locale ai magistrati. Dopo di che, la vicenda si chiuderà con un processo in Italia a carico dei due marò, la cui innocenza sarà dimostrata proprio dalla falsificazione dell’indagine balistica condotta dagli indiani.