Mercoledì 18 o al massimo giovedì 19 il voto in Commissione sulla decadenza di Berlusconi da senatore ma a decidere sarà l’Aula il 9 ottobre
Mercoledì 18 settembre, al massimo l’indomani in caso di ritardo, la Commissione del Senato per le immunità voterà sulla decadenza di Berlusconi da senatore. Il voto è puramente indicativo, decisionale sarà quello in Aula, previsto il 9 ottobre. Tuttavia, anche se non decisionale, rappresenta comunque un passaggio importante per capire gli orientamenti che le forze politiche adotteranno nella votazione plenaria. Non essendo decisionale, il voto non dovrebbe comportare nessuna conseguenza politica o personale, ma sappiamo anche che la rigidità delle opposte posizioni possono giocare brutti scherzi. Anche se l’argomento non è nuovo, dunque, e rischia di essere ripetitivo, siccome questo è il tema che ormai campeggia da oltre un mese ed è sempre il tema del giorno, e siccome verosimilmente se ne parlerà ancora a lungo, affrontiamolo alla luce delle (poche) novità, collocandoci volta a volta dalla parte del Pdl e del Pd per capire meglio (almeno lo speriamo) le differenti posizioni, i diversi interessi e la posta in gioco.
Il Pdl, compatto attorno al suo leader, benché condannato a quattro anni per frode fiscale e benché la legge Severino prescriva la decadenza in caso di condanna definitiva a più di due anni, chiede al Pd di bocciare la decadenza stessa in base all’articolo 66 della Costituzione che attribuisce al Parlamento l’ultima parola. Lo chiede non tanto o non solo perché ritiene Berlusconi vittima di una persecuzione per motivi di lotta politica, quanto per una questione di “democrazia”: il leader indiscusso, secondo anche l’espressione di Napolitano, di circa 10 milioni di elettori sarebbe privato della possibilità di rappresentare una parte del popolo. Il secondo motivo per cui il Pdl chiede al Pd la bocciatura della decadenza è che non potrebbe più sostenere il governo se il Pd votasse per decapitare il partito alleato, verrebbero meno le condizioni per un’alleanza. Di qui le polemiche di agosto e settembre, le minacce di crisi e le assicurazioni sulla volontà di garantire un governo al Paese. La posta in gioco è importante per il leader del Pdl, anche perché in caso di decadenza, Berlusconi verrebbe privato di quello scudo che impedisce a un qualsiasi procuratore della Repubblica di arrestarlo sulla base di un’ipotesi di reato che comporti una pena preventiva.
Il Pd, altrettanto compatto, sostiene che se la legge Severino dice che un parlamentare condannato a più di due anni di prigione in via definitiva decade, ebbene, questa legge va applicata. Il Pd sa benissimo che esiste anche l’articolo 66 della Costituzione, che dà al Parlamento la prerogativa di votare contro la decadenza, ma sostiene la legittimità di votare sì per la decadenza, come già hanno annunciato tutti i membri Pd della Commissione e come faranno sicuramente tutti i senatori in Aula. Quella del Pd è dunque una scelta che mette l’accento piuttosto sull’uguaglianza di tutti di fronte alla legge e alle sentenze definitive che sugli appigli giuridici che altre leggi danno per un voto diverso. Il ragionamento del Pd è che se votassero a favore dell’agibilità di Berlusconi, la base non capirebbe e a pagare lo scotto di un voto non voluto dagli elettori sarebbe proprio il Pd. Per cui i democratici non hanno nessuna intenzione di dare una mano al proprio avversario-nemico, di cui vogliono disfarsi. Siccome i membri del Pd sono in maggioranza in Commissione e in Aula, un voto favorevole a Berlusconi suonerebbe come un “tradimento” della base.
La posizione del Pd è dettata anche da un altro motivo politico, tutto interno al Pd stesso, ed è la lotta per la conquista della segreteria del partito e della candidatura a premier da parte del vincitore. Renzi, si sa, sta conquistando il partito. Se il congresso si svolgerà nei tempi fissati (novembre) e diventerà segretario, automaticamente l’ala di sinistra (D’Alema, Bersani ed altri, Letta compreso) perderà, e teme che Renzi, pur di diventare presidente del Consiglio, acceleri la caduta di Letta e contemporaneamente porti il partito verso una direzione verso cui l’ala sinistra e l’anima Ds più altri esponenti non vogliono andare per non “snaturare” il Pd. Ecco che allora gli avversari di Renzi tentano di allungare i tempi del congresso per “logorare” Renzi stesso e per evitare le elezioni anticipate, che non avrebbero senso dato che non solo la situazione economica italiana non lo permette, ma non lo permettono nemmeno le scadenze internazionali, come il semestre di presidenza italiana del Consiglio d’Europa.
Dunque, sia a Renzi che a Cuperlo (da ultimo anche Bersani ha dichiarato di puntare su di lui) conviene eliminare Berlusconi, ma il primo spera nella crisi e nelle elezioni anticipate (“lo asfaltiamo”), il secondo che il Pdl continui a sostenere il governo anche decapitato di Berlusconi che sceglierebbe di separare la vicenda personale da quella politica, anche perché altrimenti per il Pdl potrebbe andare peggio. In quest’ottica si spiega anche il braccio di ferro tra Pdl da una parte, che vuole il voto segreto, come stabilisce il regolamento quando si vota sulle persone, nella speranza che qualche franco tiratore del Pd voti a favore di Berlusconi nel segreto dell’urna, e Pd che, insieme al M5S e a Sel, vuole cambiare il regolamento e votare in maniera palese, per evitare che si verifichi la stessa cosa. Chiedendo il voto palese, però, ha esposto il Pd all’accusa di voler calpestare quelle regole che dice di voler rispettare solo perché serve a disfarsi con ogni mezzo del “nemico”.
E’ questo groviglio d’interessi che impedisce di trovare onorevoli accordi, favorendo così l’instabilità politica.