Il Locarno Film Festival, che sabato sera ha esaurito la sua 77° edizione con una proiezione sul mega-schermo nella Piazza Grande, grazie alla nuova presidenza della operatrice culturale internazionale Maja Hoffmann ora si appresta a intraprendere una nuova fase del suo cammino artistico.
Nato nella Svizzera italiana nel lontano 1946, ricordiamolo, il festival è oggi annoverato tra le prime dieci manifestazioni cinematografiche di rilevanza mondiale.
Per cercare di interpretare il messaggio artistico di questa 77° edizione, ci affidiamo ai valori sociali espressi in alcune delle pellicole presenti nel programma, a partire dal film che si è aggiudicato il prestigioso Pardo d’Oro.
Vincitrice assoluta, che ha inoltre ottenuto altri tre degli oltre quaranta premi disponibili, è stata la produzione lituana “Toxic”, diretta dalla regista esordiente Saulé Bliuvaitė.
Il film, liberamente ispirato al vissuto professionale della regista, affronta le difficoltà personali e relazionali delle giovani che aspirano a entrare nel mondo della moda, soffermandosi in particolare sul difficile equilibrio tra il desiderio di un successo apparentemente facile e gli stereotipi fisici imposti da un’industria che, per affermarsi, invece è continuamente obbligata ad accettare modelli impersonali purché globali e soprattutto redditizi.
Attraverso la narrazione di Toxic, critici e spettatori hanno quindi condiviso l’odierno senso di smarrimento, che ci ritrova naufraghi digitali di fronte alla superficialità delle proposte suggerite dai media informatici.
Malgrado anche quest’anno nessun film italiano abbia ricevuto premi, la selezione di Locarno ha invece presentato produzioni italiane di significato artistico universale.
Partiamo dal film che ha inaugurato la manifestazione: Le Deluge (Il Diluvio) del regista napoletano Gianluca Jodice, una cupa e angosciante ricostruzione della graduale perdita di potere di Re Luigi XVI e della regina Maria Antonietta, imprigionati allo scoppio della Rivoluzione Francese e consapevoli del tragico destino che li avrebbe attesi dopo la fine della monarchia e la proclamazione della repubblica.
Se i protagonisti sono francesi, Guillaume Canet e Mélanie Laurent, il film è invece una coproduzione che, fra gli altri, vede la presenza del regista Paolo Sorrentino e della prestigiosa RAI Cinema.
Quest’ultima, doveroso ricordarlo, grazie al film Io Capitano di Matteo Garrone, solo pochi mesi fa ha sfiorato la vittoria dell’Oscar 2024 per la categoria Best International Feature Film.
Proseguendo, a rinnovare l’omaggio locarnese alla cinematografia italiana è stato il film The Glass Wall del 1953, con un giovane Vittorio Gassman al suo debutto nel mondo dello star system di Hollywood. Il suo è il ruolo di un rifugiato ungherese scampato ai campi di concentramento, arrivato negli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore che alla fine riuscirà a realizzare.
Restiamo nel dopoguerra, e precisamente nel 1949, con la pellicola I fratelli dinamite.
Si tratta della seconda produzione del regista veneziano Nino Pagot che, insieme al fratello Toni, darà vita al personaggio di Calimero, oggi conosciutissimo a livello mondiale, ma che già a partire dagli anni Sessanta diventa protagonista di una fortunata serie televisiva che ha segnato l’inizio in Italia della pubblicità commerciale: il Carosello.
Concludiamo l’omaggio che la rassegna locarnese ha riservato al cinema italiano con un’altra coproduzione di RAI Cinema, e che in autunno arriverà nelle sale grazie a 01 Distribution.
Si tratta di La vita accanto, diretto da Marco Tullio Giordana, che a Locarno è stato premiato con un Pardo d’Oro alla carriera.
Nel team di sceneggiatori troviamo nomi conosciuti anche dai non addetti ai lavori.
Il riferimento è al regista Marco Bellocchio ed a Beppe Caschetto, quest’ultimo noto come agente di alcune delle personalità più influenti del prime-time televisivo italiano: Daria Bignardi, Fabio Fazio, Luciana Littizzetto e Roberto Saviano.
Anche La vita accanto, è una storia che ruota attorno al contrasto, in questo caso tra il disagio vissuto dalla protagonista, dovuto ad una malformazione fisica, e le difficoltà di relazione causate dal giudizio della borghesia di una comunità di periferia.
È una contrapposizione che porterà i personaggi a mettere in discussione alcuni degli stereotipi che ancora oggi influenzano la vita di una provincia non solo italiana ed i cui limiti il regista anzi promuove come messaggio universale a superare ogni barriera sociale e di opinione.
di Nicoletta Tomei