La Francia è spaccata in due e domenica se ne è avuta la prova. Due manifestazioni, seppure in luoghi diversi, avevano per tema la legge sul “matrimonio per tutti”, etero e omosessuali, solo che la manifestazione organizzata sulla spianata des Invalides era contro il matrimonio gay, quella organizzata alla Bastiglia a favore. Non ci sono stati scontri, come si temeva alla vigilia, ma solo folclore, slogan, colori, allegria. Perché le manifestazioni? Uno dei punti del programma di François Hollande era proprio l’impegno ad approvare una legge a favore del matrimonio dei gay. Hollande, a giudicare dai risultati della sua politica e dai sondaggi che riguardano la sua popolarità presso i francesi, non ha brillato, ma la promessa del matrimonio gay ha voluto a tutti i costi mantenerla. Di qui la legge sul matrimonio esteso a tutti, etero e gay.
Il testo è già stato approvato all’Assemblea Nazionale (la Camera dei deputati) e anche al Senato, ma qui ha subito delle modifiche. Non sono importanti, si tratta di pura formalità, ma per legge, in caso di diversità, seppure formali, tra il testo approvato all’Assemblea Nazionale e al Senato, il testo deve ritornare all’Assemblea Nazionale. La data fissata per la discussione definitiva era alla fine di maggio, ma Hollande, data la marea di gente che da due mesi riempie le piazze di Parigi e di altre città francesi, ha deciso di anticiparne la seduta. La discussione c’è stata martedì scorso e la legge è stata approvata definitivamente.
Prima di vedere cosa succederà, diciamo quello che è successo domenica. I manifestanti contro la legge avevano programmato una grande manifestazione per il 26 maggio, alla vigilia della seduta dell’Assemblea Nazionale che poi, appunto, è stata anticipata a martedì scorso. Allora anche i manifestanti hanno anticipato la protesta a domenica, la quale protesta, come detto, c’è stata e si è svolta senza le paventate violenze. La manifestazione “Mariage pour tous” alla Bastiglia (luogo reale ma soprattutto simbolico per coloro che ritengono di dovere o avere finalmente conquistato un diritto) è stata in tono minore rispetto all’altra, aux Invalides, contro il matrimonio gay. A quest’ultima hanno partecipato 270 mila persone, secondo gli organizzatori, 45 mila secondo la prefettura, ma la stampa non dà ragione né alla prefettura, né agli organizzatori, in quanto la partecipazione è stata sì molto numerosa, ma non secondo i numeri indicati dagli organizzatori.
Ma, numeri a parte, l’elettorato è diviso. Secondo i sondaggi, il 57% della popolazione francese non è d’accordo con la legge. Vorrebbe sì un riconoscimento giuridico delle coppie gay, ma non configurato come matrimonio. In ogni caso è contro l’adozione di bambini da parte delle coppie gay.
L’approvazione della legge non ha fatto cancellare agli organizzatori la data della manifestazione prevista per il 26 maggio, manifestazione che ci sarà, dunque, ma che oltre alla protesta sarà anche l’occasione per la raccolta delle firme per un referendum abrogativo.
Il matrimonio gay è già legge da alcuni anni nella Spagna cattolica. In Spagna ci furono manifestazioni oceaniche, ma poi, una volta approvata la legge, le proteste sono cessate. Il governo dei popolari non ha cancellato quella legge. In Francia, invece, Paese non confessionale, l’opposizione al matrimonio gay si sta rivelando molto più agguerrita che altrove. Sono scesi in piazza cattolici ma anche musulmani ed ebrei, ma quello che più conta è che gli organizzatori sperano che Hollande dopo la promulgazione della legge la faccia rimanere inapplicata. Si tratta di una speranza che non poggia su fondamenta solide, perché il presidente francese è intenzionato a realizzare i contenuti della legge fino in fondo. Dunque, agli oppositori non resta che il referendum abrogativo, che è la strada scelta dall’UMP, il partito della destra moderata, quello di Sarkozy.
L’altra arma degli oppositori è stata illustrata dall’organizzatore della manifestazione di domenica, Albéric Dumont, giovane di 23 anni con una luminosa prospettiva politica davanti a sé, il quale ha già preparato il ricorso al Consiglio Costituzionale (la nostra Corte Costituzionale), che dovrà pronunciarsi, appunto, sulla costituzionalità della riforma.