Uno dei possibili scenari di cui si è parlato nei giorni scorsi in occasione della difficoltà a formare un governo in Grecia e che potrebbe ripresentarsi in occasione delle nuove elezioni del 17 di giugno è che l’ipotetica e paventata uscita dalla moneta unica comporti una corsa a ritirare i depositi ancora in euro – come del resto già si era cominciato a fare dopo i risultati elettorali che non davano la maggioranza a nessuno e come lo stesso presidente greco aveva rivelato – con tutte le conseguenze disastrose che questo fatto mette in moto (inflazione della dracma al 60%, stipendi e salari puramente nominali, occupazione dimezzata, Stato insolvente, niente prestiti dall’estero, eccetera). Un disastro, con l’esplosione della povertà, probabilmente della violenza, dello sbando totale, del si-salvi-chi-può verso altri Paesi.
Se poi a questo scenario catastrofico greco si aggiungessero le ripercussioni su alcuni Paesi in grosse difficoltà, come la Spagna e il Portogallo, le conseguenze anche per gli altri Paesi, Italia compresa, che dovrebbero pagare caro questa concatenazione di fallimenti sarebbero intollerabili, soprattutto perché si aggiungerebbero alle già evidenti difficoltà economiche e sociali. Ecco il motivo per cui dal G8 di Chicago non poteva che venire un messaggio di svolta con un “imperativo a promuovere la crescita e l’occupazione”, passaggio chiave del comunicato finale del vertice. Sul come, non sarà facile mettersi d’accordo, non solo perché una cosa è parlare di crescita e un’altra è realizzarla, ma anche perché Angela Merkel, fautrice del rigore, può manifestare spirito costruttivo di facciata in occasione di questo vertice internazionale, ma si sa già che non è tanto d’accordo e l’ha ribadito quando ha sentenziato che “non c’è crescita senza rigore”. Sono sette le ricette, sulla carta, per la crescita, tra cui eurobond e project bond, due delle “piste concrete” da seguire secondo Monti, oltre la ricapitalizzazione della Bei (Banca europea per gl’investimenti) per altri 10 miliardi di euro che arriverebbero a 180 miliardi complessivi. Il problema è se l’Europa riuscirà a mettere in pratica queste “piste concrete” o se ci sarà dissenso, specie se le nuove elezioni greche non dovessero dare indicazioni di una chiara maggioranza europeista in rispetto dei patti sottoscritti.
Al G8 di Chicago si è delineata un’intesa a tre, Obama-Hollande-Monti: questi ultimi due interessati a salvare l’Europa e i loro Paesi, il primo, Obama, a ottenere dei vantaggi dalla ripresa dell’Europa per gli Stati Uniti e di conseguenza per la sua rielezione. Senza un minimo di ripresa europea che trascini anche gli Usa, le cose per un nuovo mandato si complicherebbero seriamente e lui lo sa. Dicevamo che l’ipotetico scenario sopra descritto della Grecia è così eloquente che dovrebbe spingere tutti, anche la Merkel, a fare di tutto per tenere la Grecia nell’euro, tuttavia non è con i proclami minacciosi o con i veri e propri ricatti che si potrà andare avanti. L’estrema sinistra che ha ottenuto consensi strepitosi e che alcuni dicono che alle prossime elezioni diventerà addirittura il primo partito non può dire che l’Europa deve per forza continuare a pagare per la Grecia, tanto, se non lo facesse, rischierebbe essa stessa di saltare. Non è coi ricatti che si può sperare di uscirne tutti. Ci vuole solidarietà, ma anche responsabilità.
Dobbiamo augurarci una sola cosa: che il messaggio proveniente da Chicago spinga i greci a dare forza ai due partiti – Nuova Democrazia e Pasok – che con spirito da unità nazionale traghettino la Grecia verso il rispetto dei patti (riforme serie), condizione indispensabile per gli aiuti internazionali necessari e per superare le difficoltà.