Benedetto XVI, cogliendo tutti di sorpresa, con un gesto che ha lasciato tutti attoniti, si è dimesso da Papa poco più di un mese fa, motivando l’atto, come si ricorderà, con l’età e le forze che mancavano per poter assolvere ad un compito gravoso come quello di riformare e rinnovare una Chiesa in preda a convulsioni, a carrierismi, anche all’affarismo, nonché alla secolarizzazione.
Come è stato unanimemente riconosciuto, il passo indietro di Joseph Ratzinger in realtà erano due passi in avanti: favorire l’ascesa al trono di Pietro di chi, più giovane e più forte, avrebbe potuto dare una sterzata alla Chiesa, rinnovarla ed evangelizzare di nuovo, ancora e sempre, il mondo in crisi. Ora, dopo poco più di un mese e con l’elezione del nuovo Papa, appare ancora più chiaramente che il gesto di Benedetto XVI non fu una rinuncia, ma un atto voluto di umiltà per il bene della Chiesa, rafforzato, da quell’invito rivolto a tutti, nella Chiesa e nel mondo, prima di entrare nel nascondimento, a mettere Cristo al centro della propria vita.
La scelta di Jorge Mario Bergoglio è da considerare nel segno della continuità con Joseph Ratzinger – e più in generale con la tradizione millenaria della Chiesa – e del rinnovamento. Continuità e rinnovamento convivono, non è possibile separarli, né in Benedetto XVI, né in Papa Francesco. La continuità è data dalla semplicità del linguaggio e dei gesti, dalla spontaneità delle parole e della persona. Il rinnovamento è dato, più che da motivi dottrinali, dal carattere e dall’approccio con la gente. La semplicità e l’umiltà hanno tante facce: quella più misurata e nordica di Ratzinger e quella più “latina” di Bergoglio.
Il nuovo Papa prima di benedire il popolo, ha voluto essere benedetto dal popolo stesso, dal popolo come comunità umana e religiosa. Il concetto “vescovo e popolo” è stato ripetuto due volte, per affermare il significato di una Chiesa come comunità reale e universale, che va verso il popolo, alla ricerca del popolo di Dio, che non chiede solo l’avvicinamento del popolo alla Chiesa. Papa Francesco, nel chiedere la preghiera della comunità su di lui, si è inchinato, in atto di umiltà, e il silenzio che ne è seguito è stato solenne e maestoso. E il Pontefice che vuole incarnare la Chiesa del terzo millennio. Dopo duemila anni è sempre Gesù che va per le strade del mondo a portare la “lieta novella” e a salvare gli uomini. Il gesuita Jorge Mario Bergoglio è il vescovo che va metaforicamente e realmente per le strade del mondo a portare Gesù a chi lo vuole e lo cerca. E’ il “mettere Gesù al centro della propria vita” di Joseph Ratzinger.
L’altra novità è nel nome che è anche un programma: il nome del frate di Assisi, il frate della povertà (il messaggio all’apparato della Curia, ai carrieristi dentro e fuori la Chiesa è chiaro) e della preghiera (il messaggio ai valori evangelici contrapposti alle ambizioni, al potere, alla secolarizzazione, al relativismo, è altrettanto nitido).
L’altra grande novità è la scelta di un Papa proveniente dall’America Latina, “dalla fine del mondo”, un continente, come ha detto Vittorio Messori, che perde migliaia di fedeli al giorno e che Papa Francesco dovrà ricondurre all’ovile del Buon Pastore e sarà un Papa che viene da lontano che dovrà evangelizzare di nuovo un continente, l’Europa, che si vergogna a citare nella sua Costituzione delle sue origini cristiane
La più antica istituzione del mondo è anche quella che ha più capacità di rinnovarsi. Si pensi al fatto che fino ad un mese fa la Chiesa era al centro di critiche e di polemiche. E’ bastata l’elezione del nuovo Papa a cancellarle tutte e a infondere entusiasmo e fede nella coscienza di quell’umanità che accoglie la voce di Gesù nel proprio cuore.
La Chiesa cattolica è, come si dice, “santa e peccatrice”, peccatrice in quanto formata di uomini, santa in quanto trae da Gesù, da Dio, il suo messaggio di amore e di salvezza. Ci si può allontanare dal Vangelo, ma al Vangelo si ritorna. La Chiesa di ogni tempo, per rinnovarsi, si abbevera al Vangelo e agli uomini che ne hanno illuminato la storia.