Il vincitore delle primarie del centrosinistra, Pierluigi Bersani, ha iniziato a fare il giro delle Cancellerie per ottenere il consenso internazionale alla sua candidatura
Ci aveva già provato Marco Follini, cattolico, ex Udc poi passato al Pd già nel 2008, in tempi non sospetti, quando alcuni giorni fa in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha, seppure con toni amabili, invitato Mario Monti a non candidarsi come premier dello schieramento di centro. La tesi di Follini, anche se non espressa in termini così diretti, era che il premier meglio avrebbe fatto a restare fuori dagli schieramenti, così avrebbe guadagnato in imparzialità e soprattutto in prestigio, dicendo, in sostanza, che la sua terzietà sarebbe stata utile alla sua elezione a presidente della Repubblica. Sotto sotto, l’invito era diretto a non disturbare il percorso del Pd lanciato verso la vittoria.
Poi c’è stato il ritorno di Berlusconi ed allora la polemica del Pd e di Bersani in particolare è stata facile. Il vincitore delle primarie del centrosinistra, portato in alto da un successo che ha ridato vitalità e vigore al partito e alla coalizione, ha subito lanciato il guanto della sfida a Berlusconi, dicendogli: vieni avanti, ti aspetto, sono felice di sfidarti. Insomma, il Pd ha vissuto un momento dell’atmosfera vissuta da Achille Occhetto nel 1994, quando l’ultimo segretario del Pci e primo segretario del Pds, nel corso della sfida elettorale, parlò di “gioiosa macchina da guerra” del vecchio Pci che aveva dovuto cambiare nome per tentare di staccare la sua immagine legata al comunismo sovietico appena crollato.
Quando poi Berlusconi, per recuperare i voti in libera uscita, ha impresso un’accelerazione alla fine della legislatura, criticando il governo e i parametri negativi dopo un anno di governo tecnico e attirandosi le critiche non solo dei centristi, ma anche dei leader del Partito popolare europeo, oltre che della Merkel in maniera più diretta e inusuale per un leader straniero, il gioco per il Pd era fatto. Il suo “principale avversario” stava per essere cotto ben bene, tanto più che cominciava ad avere problemi con i frondisti interni – i montiani – che si agitavano per stabilire un ponte per la candidatura del premier con la lista per l’Italia di Casini e Montezemolo.
Insomma, Bersani fino a dieci giorni fa aveva il vento talmente in poppa che già si muoveva da premier in pectore. L’atteggiamento di Bersani, che aveva iniziato a fare il tour delle Cancellerie in cerca di consenso internazionale, cominciando però dalla Libia in preda alla confusione, aveva indispettito il suo principale alleato, Pierferdinando Casini, che gli rimproverava da una parte la sua ostinazione a cancellare Monti protagonista anche della prossima legislatura, dall’altra a considerare i centristi utili solo se “rimanevano piccoli”. Casini, insomma, cominciava a prendere le distanze dal Pd perché Bersani voleva a tutti i costi imbarcare Vendola nel governo. Il quale Vendola non perdeva occasione per dire che l’esperienza Monti era da superare perché la sua visione era antitetica a quella del centrosinistra. In poche parole, mentre Bersani cercava di tenere alto il dialogo con Casini per attrarlo, dopo le elezioni, nella maggioranza, Vendola picchiava contro Monti e contro Casini per rendere il centrosinistra riconoscibile dal punto di vista di un programma alternativo al centrodestra e anche al centro.
Bersani, poi, manifestava qualche insofferenza verso lo stesso Casini dicendo che voleva, con l’insistenza su Monti, “rovinare la vittoria del centrosinistra”. In fondo, la logica di Bersani era condivisibile. Il centrosinistra aveva (ed ha) la possibilità di governare, dunque, ogni ostacolo a questo esito era ed è da mettere da parte.
Quando Monti è stato invitato alla riunione del Ppe in funzione anti Berlusconi e per un endorsement della sua candidatura a premier, il Pd, con Bersani in testa, hanno accusato il colpo, tanto è vero che si è dovuto muovere un personaggio importante nel Pd come D’Alema per tentare di fermare Monti. Inutile dire che il ragionamento di D’Alema – la candidatura di Monti “è moralmente discutibile” perché va contro il partito, il Pd, che finora l’ha sostenuto – ha indispettito ancora di più Casini che non ha usato diplomazia per condannare “i toni” di D’Alema.
Che cosa succederà ora? Se Monti, come auspica Berlusconi, accetterà (cosa difficile) di essere il candidato di tutto lo schieramento di centrodestra, per il Pd e il centrosinistra la vittoria da certa diventerà incerta, se non lontanissima. Se Monti accetterà di essere il candidato solo della lista per l’Italia, rifiutando il sostegno del Pdl, ci saranno tre candidati premier che sono Monti, Bersani, Berlusconi (o Alfano), ma né Berlusconi e nemmeno Monti avranno chance. Se Monti deciderà di non accettare nessuna candidatura, allora è chiaro che Bersani può tirare un sospiro di sollievo e avviarsi a diventare lui stesso premier utilizzando Monti per un incarico di prestigio che può essere la presidenza della Repubblica o un incarico internazionale. In questo caso, l’esito elettorale sarebbe scontato per il centrodestra che, se perdesse con onore, sarebbe tutto di guadagnato, ma anche per i centristi che dovrebbero accontentarsi di un ruolo marginale, andando ad allargare, con qualche poltrona, la maggioranza di centrosinistra ma da una posizione di debolezza.
I destini dell’Italia sono appesi alla decisione di Monti.