Il premier Silvio Berlusconi, usando un’espressione romana, lo aveva detto: “Scendere in piazza? Quando ce vò ce vò”. E il suo popolo, il Popolo della Libertà, oltre un milione di persone, secondo gli organizzatori, molti di meno secondo l’opposizione, ha risposto all’appello e da tutta Italia con treni e pullman è accorso a Roma, invadendola per un giorno nel nome dell’“amore che vince sempre sull’invidia e sull’odio”, come recita lo slogan della manifestazione.
Un messaggio ripetuto a caratteri cubitali sull’immenso palco montato a piazza San Giovanni, in perfetto stile hollywoodiano, punto di arrivo dei due cortei: uno è partito da Colli Albani; l’altro, con in testa il governo, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e altri esponenti dei vertici del Pdl, dal Circo Massimo.
Un fiume dominato dal bianco degli stendardi del Pdl, ma anche soprattutto dal tricolore. Migliaia i partecipanti, di tutte le età, ma non un milione, commenta Pierluigi Bersani: parecchi i giovani, ma altrettanti gli anziani che, soprattutto in coppia, hanno seguito i cortei.
Facce diverse da quelle che abitualmente Roma è abituata a vedere sfilare nei cortei delle sinistre: domina la giacca, a volte la cravatta, camicie ben stirate e persino tacchi.
Qualche signora sfoggia anche un’acconciatura fresca di parrucchiere, ma nulla toglie all’entusiasmo di essere scesi in piazza. Tantissimi i sostenitori della candidata del centrodestra, Renata Polverini, alcuni con fratini bianchi con scritto “la voto lo stesso”. Polverini protagonista anche di tanti slogan, tra cui il gettonatissimo “Renata presidente, lo vuole la gente”.
Una manifestazione, nelle intenzioni dei leader, di popolo: un aspetto sottolineato anche dalle numerose bande musicali, con tanto di majorettes che hanno accompagnato i militanti e i percorsi.
E quando non ha suonato la banda gli altoparlanti hanno diffuso le note dei cantautori più amati storicamente dalla destra come Battisti e Battiato, ma anche del più giovane e di sinistra Ligabue. Una banda, forse per nostalgia, ha anche accennato le note dell’inno del ventennio “Faccetta nea”, un brano che ha fatto pendant con l’unico e isolato stendardo della X Mas che pure si è visto nel corteo. Ma a parte questi episodi, di “nostalgia” in piazza non se ne è vista molta: ci sono avversari del presente da battere.
E per ogni striscione inneggiante al sindaco Alemanno o ai candidati della lista Pdl, ad oggi esclusa, ce n’erano almeno 10 contro i personaggi meno amati dal centrodestra: le toghe rosse, un ex pm come Di Pietro, definito “tarocco d’Italia”, i giornalisti Michele Santoro e Marco Travaglio e i magistrati responsabili, secondo il Pdl, di perseguitare il premier e di non ammettere le sue liste. Ma gli striscioni più feroci sono stati quelli contro la coppia Bonino-Marrazzo, un attacco sintetizzato dal gettonatissimo manifesto che, taroccando quello della radicale, la mostra con il volto dell’ex governatore: “ti puoi fidare?” lo slogan parodiato.
Qualcuno dalle finestre ha esposto provocatoriamente dei drappi viola e rossi, salutati da fischi ma anche da ripetuti cori dell’inno di Mameli, magari intonati attorno al drappo tricolore, lungo oltre 500 metri, che è stato portato in corteo per le vie di Roma.
Ad aspettarlo a piazza San Giovanni un sagrato già pieno ai piedi dell’imponente palco: una folla bianca e tricolore delimitata dai gazebo delle 13 regioni che andranno al voto a fine mese.
Una piazza che prima ha ballato sulle note dell’orchestra di Demo Morselli, con un intro di Star Wars, poi ha applaudito ministri e candidati che si sono presentati sul palco in attesa del gran finale: l’intervento del premier Berlusconi, introdotto dal sindaco Alemanno che ha ringraziato la folla per la sua “invasione pacifica”. Una folla che ha partecipato con entusiasmo al discorso del presidente del Consiglio e che ha lasciato San Giovanni intonando l’inno del premier “Meno male che Silvio c’è”.