Il governo ottiene l’ennesima fiducia malgrado alcune defezioni ma le opposizioni continuano a chiedere le dimissioni di Berlusconi
Governo sotto di un voto la settimana scorsa sul Rendiconto dello Stato: le opposizioni reclamano le dimissioni del premier, la maggioranza dice che è un incidente di percorso in quanto alcuni deputati sono arrivati tardi (Tremonti e Scajola). In ogni caso, aggiunge la maggioranza, non si tratta di un provvedimento politico in senso stretto, ma dei conti dello Stato dell’anno 2010, un provvedimento preparato dalla Corte dei Conti. Conclusione: si potrà riapprovarlo dopo un dibattito con voto di fiducia. Il dibattito avviene giovedì, dopo il discorso del premier, durante il quale le opposizioni escono dall’Aula, in segno di protesta contro il premier, reo di non dimettersi. Già questo clima di odio la dice lunga sul livello del dibattito, dei rapporti tra partiti e politici e verso le istituzioni. L’indomani, al momento del voto, le opposizioni, su suggerimento di Casini, non si presentano alla prima “chiama”, per far mancare il numero legale, che non manca, invece, anche perché i radicali e i due esponenti delle minoranze assicurano la presenza. Risultato: il governo ottiene la maggioranza assoluta con 316 voti a favore e 301 contro. La “fronda” di Scajola ha votato per il governo, anche se l’ex ministro non è riuscito a convincere due dei suoi seguaci a fare altrettanto. Qui conviene aprire una piccola parentesi. Il tenore del dibattito è tale che Scajola, quando minaccia di far mancare i voti, diventa un santo per una sinistra che non lo può vedere, quando vota a favore del governo, diventa subito un essere spregevole. Incassata la fiducia, Berlusconi ha dichiarato che il governo potrà arrivare fino alla fine della legislatura e fare le riforme necessarie, anche con un solo voto di scarto. Le opposizioni, invece, malgrado il voto di fiducia continuano a reclamare le dimissioni negando legittimità al governo e al premier. Evidentemente per le opposizioni è legittima solo la loro volontà, non quella del popolo o del Parlamento. Probabilmente il governo cadrà all’inizio del 2012, perché nel Pdl c’è un gruppo di deputati e senatori che pensano che, caduto Berlusconi, si possa fare un nuovo governo con l’Udc di Casini che, rafforzato da un gruppo parlamentare più ampio, potrà scegliere il premier e risolvere i problemi del Paese con la bacchetta magica. Oppure pensano che il centrodestra a guida Udc di Casini possa rafforzarsi dopo aver mandato a casa Berlusconi e messo in un angolo la Lega. Oppure, ancora, pensano che una Udc rafforzata possa fare un’alleanza con il centrosinistra di Bersani, Vendola e Di Pietro e di colpo, con la sola alleanza tra questi partiti e leader politici che con Prodi hanno fallito dopo meno di due anni, cambiare il presunto disastro in improvviso benessere. Va precisato che da una parte quest’ultima ipotesi è esattamente l’Unione di Prodi, formata da partiti diversissimi per idee e programmi che litigavano su tutto, aprendo le frontiere ai clandestini e facendo aumentare i reati e l’insicurezza; dall’altra che queste ipotesi sono quelle di Casini che non vuole confondersi con il centrosinistra e nello stesso tempo non vuole rafforzare il centrodestra, ma vuole sbarazzarsi di Berlusconi per diventare lui il leader del centrodestra. La Lega e il Pdl, non avendo evidentemente la vocazione al suicidio, cosa che sarebbe piaciuta ai loro carnefici politici, fino a quando avranno la maggioranza, cercheranno di governare e arrivare alla fine della legislatura con alcune riforme necessarie. Tra queste, l’imminente decreto sulla crescita, la riforma fiscale, la riforma sulla giustizia e la riforma istituzionale. Intanto, dicono, abbiamo governato bene, avendo approvato la riforma della scuola e dell’Università, tutte e due a pezzi dopo trent’anni di immobilismo e di difese corporative; avendo approvato una serie di decreti sul federalismo e tutto sommato gestendo con dignità una crisi economica mondiale che non è certo dipesa dal governo italiano. Se è vero che il tasso di disoccupazione (7,9) è il più basso tra i Paesi industrializzati; se è vero che negli ultimi mesi l’occupazione è risalita; se è vero che il debito pubblico sta scendendo e che aumentano le entrate derivate dalla lotta all’evasione fiscale, una qualche ragione ce l’hanno. Per il futuro, se riusciranno a disporre di una maggioranza, bene, altrimenti, dicono, non c’è altra soluzione che ricorrere al popolo. Questo, in sintesi, il quadro. L’impressione è che le opposizioni da una parte hanno creato un clima pesante di odio e di delegittimazione ad personam (salvo poi condannare la violenza), dall’altra prima sparano alla gamba dell’avversario e poi lo accusano di non riuscire a camminare. In un’intervista sul Corriere della Sera, D’Alema, dopo essersi augurato riforme liberali “capaci di superare incrostazioni e resistenze corporative” dice: “Penso che flessibilità e impegno comune di lavoratori e aziende per elevare la produttività del lavoro siano necessarie”. È vero, però è anche vero che ora vorrebbe ciò che lui, il suo partito e tutta la Cgil, hanno rifiutato con manifestazioni oceaniche nel 2002-2003 (riforma dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori) e hanno appena rifiutato opponendosi ciecamente ai nuovi rapporti industriali proposti da Marchionne. Insomma, le opposizioni prima impediscono al governo di fare determinate riforme e poi lo accusano di non averle fatte. La serietà non è un optional. [email protected]