Napolitano: “I partiti non siano inconcludenti”. Renzi sollecita il Pd ad accettare la sfida del cambiamento
Ma Renzi vuol indebolire il governo per farlo cadere per poi andare alle elezioni e candidarsi premier del centrosinistra o del Pd? A questa domanda sono in tanti ad aver risposto e le risposte non sono univoche. Sono in tanti ad attribuire questo disegno a Renzi e siccome l’interessato ha sempre smentito facendo professione di amicizia vera nei confronti di Letta, coloro che rispondono di sì dicono che Renzi dice una cosa e ne pensa un’altra. A dire il vero, è anche Letta che ha confessato di essere rimasto interdetto di fronte alle dichiarazioni di Renzi, il quale ha affermato che “il governo vivacchia”, mentre dovrebbe “non dovrebbe perdere tempo” e “fare le riforme”. Renzi, poi, quando gli chiedono qualcosa di più preciso sulle sue reali intenzioni, si trincera dietro un’espressione sibillina, tipo “io penso a fare il sindaco”, attirandosi, tra l’altro, le facili ironie di Grillo che gli rimprovera proprio di essere un giorno a Napoli, un giorno a Vicenza, un giorno a Roma , insomma dappertutto tranne che a Firenze come un sindaco vero dovrebbe fare.
La posizione di Renzi, all’indomani delle elezioni “perse” dal Pd, è sempre stata quella di dire: ve l’avevo detto io? Con me avremmo vinto, con Bersani abbiamo perso. E’ lo stesso pensiero di adesso, quando osserva che il Pd si è finalmente convinto che bisogna cambiare la legge sul finanziamento ai partiti. Renzi dice che bisognava farlo prima, per togliere materia di polemica e di demagogia a Grillo, esattamente come bisognava andare subito alle larghe intese, senza aspettare l’incancrenirsi della situazione economica, pur ritenendo questa una scelta di necessità dettata dai numeri.
Da quzi, però, a dire che vuole la caduta di Letta, ce ne corre. E’ lui stesso a dirlo: “Il tormentone su cosa fa Renzi è non solo insopportabile ma anche inutile e non coglie il punto centrale, che è cosa farà il Pd: farà un congresso serio o no? Accetterà la sfida del cambiamento e della novità o no? Perché questa è la questione in ballo, su cui non decido io. La domanda che faccio io al Pd è: ha capito di aver perso le elezioni di febbraio? E ha voglia di provare a vincere le prossime? Dipende dalle risposte a queste domande, quel che farà Renzi”.
In effetti, Renzi aspetta per sapere cosa succederà al congresso di ottobre, che alcuni vorrebbero rinviare, altri tenere in quella scadenza per poter finalmente fare un dibattito approfondito sui motivi della non vittoria. Renzi sa benissimo che anche se riuscisse a farsi candidare premier e ad ottenere la vittoria, il problema non sarebbe risolto. Non basta vincere le elezioni, bisogna anche avere un partito che non frapponga ostacoli ad una politica di cambiamento. E’ questa la preoccupazione maggiore di Renzi, mutuata dall’esperienza Berlusconi che aveva sì una maggioranza schiacciante nel 2008 ma che è rimasto intrappolato dai compromessi e dagli interessi dei vari gruppi di potere. Questo è un errore che Renzi non intende fare. Come? Un tempo, quando si è presentato alle primarie (poi vinte da Bersani) pensava che bastasse l’investitura popolare per cambiare, poi, invece, si è accorto che che l’investitura popolare non basta se a governare il partito c’è chi rema contro, cioè tanti gruppi o potentati che non vogliono in realtà innovare nulla. Ecco perché adesso Renzi dice: “Tutto dipende da cosa vuol fare il partito”. Dal che si deduce che si batterà con i suoi uomini affinché al congresso si capisca la necessità di rinnovarsi per davvero e se questo avverrà con regole diverse, allora inizierà la sua avventura, senza minimamente intralciare la navigazione di letta, sempre che sia incisiva per il bene del Paese.
Più che dal partito, però, le speranze di nuove regole vengono da Napolitano, che ultimamente che rilanciato il monito: “I partiti non siano inconcludenti” chiedendo espressamente che “entro il 2 giugno del 2014 l’Italia dovrà essersi data una prospettiva nuova, più serena e sicura”, alludendo all’impegno contro la disoccupazione ma anche alle riforme istituzionali e a quella elettorale.
Proprio dal premier Letta è venuta una disponibilità e un’apertura sia sulle riforme istituzionali, quando ha osservato, insieme a Napolitano, che Camera e Senato sono un doppione inutile, che basta la Camera per fare le leggi e che il Senato deve essere la Camera delle autonomie, e che “non possiamo più eleggere il presidente della repubblica con le modalità dell’ultima volta. La democrazia rappresentativa sta cambiando e lo dobbiamo sapere”. Letta si è fermato qui, ma i riferimenti all’apertura al semipresidenzialismo francese – elezione diretta del presidente della repubblica con poteri effettivi e il maggioritario uninominale a doppio turno – è evidente. Sulla stampa è apparsa una lettera di politologi (Augusto Barbera, Angelo Panebianco, Arturo Parisi e Mario Segni) a sostegno di questa tesi, come pure interventi come quello di Antonio Polito, che osserva che potrebbe essere questa la proposta “nobile” per un compromesso tra il centrodestra che ha sempre puntato sul presidenzialismo e il centrosinistra che ha sempre sostenuto l’uninominale a doppio turno.
Forse è la prospettiva nuova che sogna Renzi e che potrebbe essere oggetto di approfondimento serio al congresso di ottobre del Pd, anche se da subito è iniziato il fuoco di sbarramento da parte di alcuni leader Pd, a cominciare da Matteo Orfini e Rosi Bindi. Pare che il segretario Guglielmo Epifani non sa contrario, avendo fatto allusione con favore al modello francese.
Il rischio non è tanto che si discuta su questi argomenti, anzi, quanto che si discuta senza concludere. “Vigilerò”, ha detto Napolitano, affinché non si scivoli verso opposte forzature e rigidità”.