In politica internazionale ci saranno cambiamenti nel corso del 2010 e, malgrado le apparenze, saranno di segno positivo. Questo è il giudizio che si può trarre dalla piega degli avvenimenti che stanno sconvolgendo il mondo in questi ultimi tempi. Infatti, tra le tante cattive notizie, una, proveniente dalla Corea del Nord, non lascia spazio a dubbi, lanciando agli Usa un messaggio inequivocabile: “Basta ostilità verso l’America”. Si potrebbe dire: “Finalmente”. Il dialogo arriva dopo anni di contrasti dovuti alla volontà del dittatore nordcoreano di dotarsi della bomba atomica e al tentativo, da parte degli Usa, di impedirglielo. La lunga e difficile trattativa non arrivava mai a conclusioni definitive. Si raggiungeva un accordo basato sugli aiuti americani alla Corea del Nord e sullo stop alla costruzione della bomba da parte di quest’ultima e poi, dopo una pausa più o meno breve, ricominciavano le minacce e la riapertura delle trattative, sempre più spigolose ed esigenti. Tutto ciò è stato possibile grazie al discreto appoggio alla Corea del Nord da parte della potente Cina. Ora che tra la Cina e gli Usa è iniziato il cammino di un’“intesa globale” che promette di essere epocale, la Corea del Nord non può più condurre il suo giochetto ed allora si spiega la dichiarazione, impegnativa, dei giorni scorsi.
Inutile negarlo: sono i primi frutti della politica di distensione lanciata da Obama agli inizi dell’anno scorso. Nell’estremo Oriente c’è un riposizionamento degli interessi e delle alleanze che non può che portare a novità interessanti per lo sviluppo dell’economia e della pace.
Ma i cambiamenti di segno positivo ci saranno anche in quelle regioni che adesso sono in grave crisi, al punto da sfiorare la tragedia collettiva, come in Iran, o anche in Afghanistan e altrove, come diremo più avanti.
Dall’Iran giungono messaggi molto allarmanti. Il regime ha minacciato di eliminare fisicamente gli oppositori, “senza pietà”. Questi, invece di cedere alle minacce, organizzano la protesta fino a dire, come ha fatto Mousavi, il capo degli oppositori, che non hanno paura di morire per la propria gente, lasciando intendere che ormai non potranno esserci compromessi: o vincerà la Guida Suprema, Alì Khamenei, che, servendosi dell’attuale presidente Mahmud Ahmadinejad, sta cercando di avere il controllo assoluto sull’Iran, oppure l’attuale regime sarà destinato a fare una brutta fine. Sia nell’uno che nell’altro caso ci sarà un bagno di sangue.
La posta in gioco in Iran non è solo il tentativo, da parte dell’opposizione, di opporsi ai brogli elettorali del 12 giugno; non è nemmeno tanto la lotta tra due linee politiche, che non sono poi così nette; la vera posta in gioco è il controllo assoluto sull’Iran da parte della Guida Suprema Alì Khamenei, il quale vuole annullare il cosiddetto “equilibrio” della Costituzione approvata dal vecchio Ayatollah Khomeini alla fine degli anni Settanta.
Abbiamo detto “cosiddetto equilibrio” perché la Costituzione garantisce il 70% del potere alla Guida Suprema (potere religioso) e il 30% alla Repubblica (governo politico).
In sostanza l’attuale Guida Suprema, Alì Khamenei, malato e vicino alla fine, premendo sulla rivolta ha voluto esasperare gli animi per annullare l’opposizione ed assumere su di sé l’intero potere, in modo da passare la mano al figlio. In quest’operazione – si è parlato di un “golpe interno” – il presidente Ahmadinedjad non è altro che un utile fantoccio: pericoloso sì, ma fantoccio.
Essendo questa la posta in gioco, non è possibile che la partita finisca alla pari, anche perché pare che una parte della Guardia della Rivoluzione non sia più tanto fedele al regime in quanto non ci sta a sconvolgere quel famoso “equilibrio tra i poteri” di invenzione khomeinista. Chi vincerà è ancora presto per dirlo, ma se vincitori saranno gli attuali tiranni, l’Iran precipiterà nella tragedia, perché da loro solo una tragedia potrà venire: armi nucleari, attacchi a Israele, reazioni e macerie.
Attualmente, dopo anni dall’attacco alle Torri Gemelle e con la guerra in Iraq e in Afghanistan tuttora in corso, il terrorismo è sempre una minaccia: attentato (fallito) su territorio Usa, attentati in Iraq, in Afghanistan e in Pakistan.
Non è servito il pugno di ferro di Bush e non sta avendo effetto la politica della distensione di Obama, ma è solo apparenza, perché il dialogo e il multilateralismo non impediscono di ricorrere alle maniere forti quando è necessario.
Di qui i rinforzi in Afghanistan e i probabili raid aerei sullo Yemen, roccaforte di Al Qaeda, minacciati dagli Usa con l’accordo delle autorità governative dello Yemen.
Il 2010 sarà una sorta di guerra finale tra i contendenti, non sarà possibile prolungare molto oltre gli sforzi economici per sostenere guerre lunghe e costosissime.
L’Occidente – ma anche i Paesi musulmani moderati – saranno chiamati ad una sorta di sfida finale contro il terrorismo e si dovrà vincere a tutti i costi. Anche la Cina sarà chiamata a “fare squadra”, sia perché è una potenza dello scacchiere asiatico, sia perché è nel suo stesso interesse. Sono i motivi per cui abbiamo detto che le notizie brutte di questi giorni solo apparentemente dipingono una prospettiva fosca.
In realtà, se la guerra sarà vinta, vorrà dire che una nuova epoca inizierà, dopo i primi, terribili, anni di questo nuovo secolo.
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