In tanta varietà di condotte, siano esse generate dal fervore o dal fanatismo, dalla credulità o dalla malafede, dall’empito mistificatorio degli apologisti o dal calcolato placet della curia, non c’è da sorprendersi se accanto alla tragedia dei martiri si profila anche la luce dei santi, non scalfiti dalle piaghe della carne ma gloriosi nel trionfo dello spirito. E pertanto non ci stupiamo di veder comparire a un certo punto, a reiterare la vittoria del Cristo, nientedimeno che un rinnovellato Battista, la cui epifania supera di gran lunga la pur sorprendente quota dei martiri, per ascendere all’inconcussa sfera della grazia.
Notizia di questa ammirevole scalata la troviamo negli Atti redatti da un certo Giulio, originario di una famiglia agiata di Aqfahs: il quale, avendo ricevuto un’educazione accurata, riuscì a diventare segretario e interprete del governatore di Alessandria. Provvisto, come vedremo, oltre che di un gusto letterario esercitato, anche di un esubero di fantasia, durante tutto il periodo della persecuzione Giulio assisté ai giudizi e alle torture dei cristiani, che visitò assiduamente in carcere, e dei quali, coadiuvato da una schiera di ben trecento scribi, intese narrare la storia.
Spicca, tra queste, la vicenda, invero meno cruenta che edificante, di Giovanni. E a buon diritto : ché se beati potevano dirsi coloro che avevano sofferto per la fede, non meno degni di lode erano i coronati di superiore beatitudine rispetto a chi si era solo “limitato” a morire, o ad elargire qualche miracoluzzo per bontà: e i cui portenti assumevano valore paradigmatico, per essere discesi, più che ex abundantia cordis, dallo stollo della santità.
L’alto destino di Giovanni era già stato del resto decretato ancora prima del suo concepimento, alla cui ricetta non inclinava la dissuasiva costellazione familiare. Ché mentre il padre Mosè, benché in età avanzata, desiderava ardentemente un figlio, la moglie Elena era invece sterile. E Mosé, dopo non pochi tentativi falliti, sconsolato, nel giorno della festa del Battista, decise di tendere le braccia direttamente a Dio.
“Ascoltami, o Signore Onnipotente. Ascolta questo misero peccatore, che dalla sua infima condizione osa volgersi a te, per implorare la tua misericordia. Dammi, ti prego, un figlio, e io lo chiamerò Giovanni Battista. Non lasciarmi morire senza eredi; non condannare a perire la mia memoria. Ma abbi pietà del tuo servo, ed io prometto che darò metà dei miei beni ai poveri e ai bisognosi; e stabilirò delle offerte prima di morire.”
Detto questo, se ne andò scoraggiato a dormire, sprofondando quasi subito in un sonno profondo. Ma nel bel mezzo della notte ebbe visione di una figura circonfusa di luce, con i capelli e la barba folta, una cintura di pelle attorno ai fianchi, e il volto raggiante; che ne rassicurò lo sgomento con dolci parole.
“Sai chi sono io?” chiese per prepararlo.
“No, mio Signore!” rispose Mosé, non osando credere, neanche in sogno, a un simile prodigio.
“Allora sappi che sono Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, cugina di Maria, e fui generato quando i miei genitori erano già in tarda età. Ieri sera tu hai pregato di ottenere un figlio. Ed ecco, così come l’Onnipotente aveva ascoltato la preghiera di Anna, a cui diede Samuele; e quella di Abramo, a cui diede Isacco, ora ha ascoltato anche la tua voce. E così quest’anno nascerà da te un figlio, che per volontà divina sarà mandato a benedire gli uomini e a glorificarne il nome nel tempo della persecuzione.”
Scosso dalla rivelazione, Mosè si svegliò di soprassalto; e, ripresa coscienza, realizzò che la figura apparsagli era proprio quella di Giovanni Battista. Allora si alzò e pregò fino al mattino. Giulio non ci dice se si mise subito all’opera, ma solo che la moglie si trovò presto incinta; e dopo un digiuno prolungato, chissà perché, fino al termine della gravidanza, alla scadenza canonica mise al mondo un pargolo che riempì di splendore tutta la casa. Al che, mentre i parenti attoniti per prodigio del vecchio padre, proponevano di perpetuarne il nome nel figlio, Mosé, che pure aveva tanto desiderato tramandare la schiatta, si oppose recisamente.
“Niente affatto! Intendo battezzarlo nel santo nome di Giovanni Battista, perché è per sua intercessione che il Signore me l’ha mandato.”
E così fu. Quindi per sette giorni diede da mangiare ai poveri e ai malati del villaggio; e tutti gradirono e si rallegrarono. Intanto il piccolo Giovanni cresceva a vista d’occhio; e quando giunse all’undicesimo anno, fu incaricato di condurre il gregge al pascolo, insieme al cugino Simeone. Ma siccome Giovanni digiunava dalla mattina alla sera, e distribuiva ai poveri e ai passanti il pane che avrebbe dovuto sostentarlo, Simeone, dal quale pretendeva che facesse altrettanto, se ne dolse un giorno col padre.
“Non voglio più andare al pascolo con Giovanni,” piagnucolò. “Egli prende non solo il suo pane, ma anche il mio, per distribuirlo ai malati, e mi lascia digiuno fino a sera. Non ce la faccio più!”
Il padre di Simeone andò allora a protestare da Mosé.
“Ti chiedo solo un po’ di pazienza!” rispose quest’ultimo. Ho intenzione di andare io stesso domattina ai campi; e se trovo che Giovanni si comporta davvero così, stai certo che troverò il modo per risolvere la questione.”
Il giorno dopo, quando si recò al pascolo con Simeone, Giovanni, come al solito, prese il pane e lo distribuì ai bisognosi. Verso mezzogiorno, però, giunse anche Mosè, accompagnato dal fratello, per costatare di persona se la lamentela di Simeone era vera; e senza mostrare irritazione, ma con chiara intenzione, fece una richiesta diretta.”
“Figlio mio, sono stanco e affamato. Dammi un po’ di quel pane che ti ho dato stamattina quando sei uscito di casa.”
Al che Giovanni, anche lui senza scomporsi, ma tremando internamente dalla paura, osò una pronta bugia.
“Padre mio, si trova nella capanna, dove puoi prenderlo tu stesso.”
E dopo aver fulminato con gli occhi Simeone, seguì con lo sguardo Mosé che si recava alla capanna, dove sapeva bene che non c’era più pane. Quindi, temendo di essere picchiato, già si disponeva a scappare al villaggio, quando Mosé uscì dalla capanna col paniere ricolmo di pagnotte calde, come fossero appena state sfornate, esultando che ancora nuovamente un prodigio aveva visitato la sua casa. E dopo averlo provato al fratello interdetto, raccomandò a Simeone di non tentare più di impedire a Giovanni di fare ciò che voleva.
Quindi, riportato alla moglie l’accaduto, insieme glorificarono il Signore per aver concesso loro un albero che produceva frutti fecondi per il Maestro; e decisero che da allora, invece di mandarlo al campo, si sarebbero sforzati di valorizzare i sorprendenti doni del figlio, creando le situazioni che li facessero risplendere. E che presto si presentarono…