Ci sono delle persone che riescono a mettere in crisi leader mondiali e istituzioni di grandi Paesi e a spuntarla contro ogni aspettativa. Sarà fortuna, sarà destino o forse tutte e due le cose insieme o molto più semplicemente una impareggiabile forza di volontà, certo è che i miracoli accadono. La storia è piena di personaggi straordinari per idealismo, per forza d’animo, per intelligenza, per coraggio e insieme per grande fede nell’uomo. E’ accaduto con Nelson Mandela, trent’anni della sua vita in prigione per le sue idee di libertà e di uguaglianza e poi diventato presidente del Sud Africa e della sua pacificazione. E’ accaduto con Aung San Suu Kyi, vent’anni di prigione per aver voluto la democrazia nel suo Paese e la libertà per il suo popolo, recentemente eletta nel Parlamento birmano. Qualcosa di straordinario è accaduto al dissidente cieco cinese, Chen Guangcheng.
Vale la pena di raccontare sinteticamente la sua incredibile storia. Nato a Dongshigu, un villaggio della provincia di Shandong, Chen è un bambino segnato dalla sofferenza perché è cieco e non ha futuro. Fino a 13 anni resta a casa e non tocca un libro, poi finisce in un istituto per ciechi. In pochi anni si laurea in agopuntura ma contemporaneamente sente crescere in lui una grande passione civile. Dapprima lancia una campagna contro le fabbriche che avvelenano il fiume del suo villaggio, poi, nel 2005, inizia la battaglia contro gli aborti forzati e le sterilizzazioni di massa imposte dal governo alle famiglie, riuscendo a rivelare al mondo l’obbligo per le coppie di non mettere al mondo più di un figlio. Tutto questo con l’handicap della cecità, che tuttavia non impedisce alle autorità politiche di farlo condannare a 4 anni e 3 mesi di galera. Uscito dal carcere, rimane prigioniero nella sua abitazione, spesso insultato, umiliato e picchiato dai sorveglianti del regime, fino a quando – ed è storia dell’ultima settimana di aprile scorso – non riesce a fuggire eludendo la vigilanza, evidentemente aiutato da amici che si mettono a sua disposizione. Compie un viaggio avventuroso di 800 chilometri ed arriva a Pechino, dove bussa all’ambasciata americana e chiede asilo politico. Questo accade quando a Pechino è iniziato da poco il vertice sull’economia tra il governo cinese e quello americano. Hillary Clinton, per non imbarazzare le Autorità cinesi, convince Chen a uscire spontaneamente sotto la garanzia che potrà continuare gli studi in Cina. Chen acconsente, soprattutto perché sua moglie e i suoi figli nel frattempo vengono trattenuti agli arresti domiciliari senza aver commesso nulla e minacciati di morte. Gli Usa si sono sbarazzati del caso, la Cina ha ottenuto soddisfazione. Probabilmente, l’avventura di Chen sarebbe finita male se per caso Hillary Clinton o l’ambasciatore non gli avessero regalato due telefonini, con i quali Chen si mette in contatto con il Congresso americano e svela il dramma suo e della sua famiglia di vivere in un Paese che lo perseguita.
Ora Chen e la sua famiglia si trovano a New York. La Cina in tutta fretta lo ha mollato evitando una lunga campagna sui giornali, gli Usa hanno avuto un sussulto, seppure tardivo, in difesa dei diritti umani. Chen e la sua famiglia, comunque, non potranno mai più tornare in Cina, ma non pensiamo che sia questa la loro preoccupazione. Sappiamo bene che per uno che nel proprio Paese riesce a spuntarla a prezzo di enormi sacrifici, ce ne sono migliaia che soccombono all’arbitrio del regime di turno. E tuttavia, quel singolo che riesce, vince per sé e anche per tutti quelli che non ce la fanno, seminando per tutti la speranza.