Tutti sappiamo che il 25 novembre è la data designata a celebrare l’eliminazione della violenza sulle donne, la giornata ha inaugurato un periodo più esteso, di 16 giorni, dedicato alla sensibilizzazione di questo spinoso tema, legandolo simbolicamente alla giornata dei diritti umani che si celebra domani 10 dicembre.
La campagna “16 giorni di attivismo contro le donne”, ideata dall’Istituto per la leadership globale delle donne (WGLI), vuole portare il problema della violenza sulle donne ad una maggiore consapevolezza perché il fenomeno sembra tutt’altro che arginato. Si è scelto il colore arancione per rappresentare questo periodo perché legato alla speranza di un futuro più luminoso e in questi 16 giorni si sono svolti eventi e attività al fine di generare una presa di coscienza più concreta su questa problematica.
La campagna “16 giorni di attivismo contro le donne”, ideata dall’Istituto per la leadership globale delle donne (WGLI), vuole portare il problema della violenza sulle donne ad una maggiore consapevolezza perché il fenomeno sembra tutt’altro che arginato. Si è scelto il colore arancione per rappresentare questo periodo perché legato alla speranza di un futuro più luminoso e in questi 16 giorni si sono svolti eventi e attività al fine di generare una presa di coscienza più concreta su questa problematica.
È dal 1991 che esiste la giornata contro la violenza sulle donne e per la verità l’unico dato concreto che abbiamo visto aumentare è paradossalmente quello sulla violenza di genere. I dati europei sono scoraggianti (oscillano fra 12% e il 15% delle donne che quotidianamente sono vittime di violenza), negli anni il problema è aumentato notevolmente con l’inclusione di altri generi di violenze, come molestie sessuali online, revenge porn, lo stalking o la violenza psicologica.
Anche il Segretario generale del Consiglio d’Europa Alan Berset ha posto l’accento sulla problematica affermando che “La protezione delle donne e delle ragazze dalla violenza è un obbligo che vale tutto l’anno. I 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, dal 25 novembre al 10 dicembre, incoraggiano i governi a intensificare i loro sforzi”. Che ci sia ancora molto da fare è chiaro, ma Berset lo dichiara apertamente andando ad evidenziare la necessità di fare di più su questi nuovi reati: “occorre prendere ulteriori misure. I paesi dovrebbero, ad esempio, contrastare con maggiore efficacia le molestie sessuali online, lo stalking o la violenza psicologica, che rappresentano un crescente problema in tutta Europa”. Un esempio chiaro è il caso della sentenza di Giulia Cecchettin, la giovane ragazza uccisa dall’ex Filippo Turetta.
Proprio in questi giorni è stata pronunciata la sentenza della Corte d’assise di Venezia che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per il femminicidio dell’ex fidanzata. I giudici hanno riconosciuto la premeditazione del gesto, ma – e questo può sembrare clamoroso – hanno escluso le aggravanti della crudeltà e dello stalking.
Alla lettura di questa sentenza, non possiamo che essere emotivamente coinvolti e solidali con il padre della giovane studentessa di ingegneria biomedica dell’Università di Padova, uccisa cinque giorni prima della discussione di laurea. Dopo la sentenza, infatti, il papà di Giulia, Gino Cecchettin ha commentato: “Come essere umano mi sento sconfitto, come papà mi sento uguale a un anno fa, nessuno mi ridarà Giulia”. Come si fa ad escludere le aggravanti della crudeltà e dello stalking dopo 75 coltellate inferte e dopo che dagli atti risulta l’ossessione dell’assassino verso Giulia che veniva esasperata dalle continue pressioni di Turetta?
“Il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche della famiglia della vittima e l’ennesima conferma che alle istituzioni delle donne non importa nulla” sono state invece le lapidarie parole di Elena, la sorella di Giulia. Ancora una volta non si può che essere d’accordo con queste parole e ne condividiamo il senso di amarezza e delusione, ma purtroppo la sentenza sembra proprio essere la pena massima che i giudici potevano attribuire a Turetta.
È vero che non attribuendo il reato di stalking all’assassino, visto e confermato lo stato crescente di ansia di Giulia nel periodo precedente al proprio femminicidio, potrebbe scoraggiare le vittime di stalking nel denunciare alle autorità eventuali atti simili. Di contro incentiva il malintenzionato a non modificare i propri comportamenti che per la legge non sono reati. Ecco dove è la falla. Ecco perché la sentenza dell’omicidio di Giulia non soddisfa, non rende giustizia nonostante sia stata data la pena massima. Il caso Cecchettin sarebbe potuto essere un importate precedente per altri casi analoghi a quelli di Giulia, ma non è stato possibile perché la legge italiana deve essere modificata e resa più efficace per quel che concerne la disciplina sugli atti persecutori. Ecco perché bisogna fare ancora tanto soprattutto per la prevenzione e appellarsi ad un necessario cambiamento culturale, cominciando da una “educazione sentimentale”, l’individuo deve imparare a confrontarsi con i sentimenti, propri e altrui.
Redazione La Pagina