Il Consiglio federale ha deciso di imporre alle imprese con 50 dipendenti un’analisi per contrastare la discriminazione salariale
Il progetto “Dialogo sulla parità salariale” del 2009 tra Confederazione e partner sociali, che prevedeva un esame esterno sulla parità salariale, ha non ha raggiunto l’obiettivo premesso, poiché solo alcune imprese volevano partecipare e la maggior parte ha ignorato l’invito. La scorsa settimana il Consiglio federale ha dunque rinunciato alle misure facoltative per eliminare la disparità salariale tra uomini e donne e ha deciso di introdurre degli obblighi. Le misure statali previste dal governo sono “un primo passo verso l’eliminazione della disparità”, ha spiegato il ministro della giustizia Simonetta Sommaruga nella conferenza stampa di presentazione. L’articolo 8 capoverso 3 iscritto nella Costituzione 33 anni fa dichiara che “Uomo e donna hanno uguali diritti e hanno diritto a un salario uguale per un lavoro uguale”. Tuttora “le donne guadagnano in media 677 franchi in meno degli uomini”, ha spiegato Sommaruga, “complessivamente 6.7 miliardi di franchi che vengono a mancare alle donne e alle famiglie”. Una realtà che vale praticamente per i tutti i paesi dell’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e per La Svizzera, dove la differenza del quasi 19% (2012) è superiore al 15% (2010) dell’OCSE. I motivi delle differenze sono direttamente spiegabili con gli anni di servizio o la posizione gerarchia, mentre il resto non è statisticamente ricostruibile, ma ha in parte a che vedere con la discriminazione salariale.
Di conseguenza la volontà del Consiglio federale è di imporre alle circa 10.000 imprese, che impiegano un minimo di 50 dipendenti, di svolgere periodicamente (ogni tre anni) un’analisi interna dei salari relativi alla differenza tra uomini e donne e i risultati dovranno essere indicati nel rapporto annuale. Il controllo sull’attendibilità dell’analisi potrà essere eseguito da gruppi indipendenti come i partner sociali, un ufficio di revisione o un organismo di valutazione ufficialmente riconosciuto, che inoltre avranno il compito di fare introdurre le eventuali misure per eliminare la discriminazione salariale. La scelta dell’organo di controllo potrà essere scelta dal datore di lavoro, senza il diretto intervento dello stato. Il governo vuole evitare che si “istituisca una polizia salariale”, mettendo la responsabilità e l’autocontrollo delle imprese al centro, solo che non sarà più facoltativo, ma imposto per legge.
Comunque la decisione del Consiglio federale non obbliga le imprese a pubblicare l’eventuale disparità salariale, ma dovranno solamente dichiarare nel rapporto annuale che l’analisi è stata correttamente eseguita. Se si riscontreranno disparità i dipendenti potranno fare valere in giudizio la parità salariale, mentre il Consiglio federale valuta l’opportunità di introdurre un obbligo di comunicazione sussidiario nel caso in cui l’impresa non dia seguito alle raccomandazioni ricevute. La decisione del governo è stata accolta con soddisfazione dai sindacati che vedono le misure “come un passo nella giusta direzione”, ma criticano la mancata istituzione della “polizia salariale” sotto forma di una commissione per la parità salariale con competenze di controllo. Soddisfazione da un lato per l’Unione padronale sulla decisione di prevedere l’analisi interna come base di giudizio affidata al controllo neutrale esterno, ma dall’altro critica il decreto statale del governo, proposto senza avere concretamente accertato se esista il problema di discriminazione salariale in un contesto più ampio.
I dettagli delle misure devono essere ancora affinati. Il progetto sarà concretizzato dal Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) in collaborazione con i Dipartimento dell’interno e della informazione e della ricerca che elaboreranno una procedura di consultazione entro la metà di marzo 2015.