Passa a stragrande maggioranza la nuova Costituzione che contiene aperture sui diritti civili. In aprile il generale Al Sisi sarà eletto nuovo raìs
Come era nelle previsioni, i sì al referendum sulla nuova Costituzione in Egitto hanno ottenuto la stragrande maggioranza dei voti. E’ la seconda Costituzione in due anni. La prima fu approvata dopo la “primavera araba”, quando al potere salì Mohammed Morsi, leader della Fratellanza Musulmana, vincitore delle prime elezioni libere della storia degli ultimi decenni dell’Egitto.
Giova ricordare per sommi capi gli avvenimenti, partendo dalla protesta popolare che nell’autunno del 2011 portò alla caduta di Hosni Mubarak in nome della democrazia, della libertà, del lavoro, della giustizia. L’esercito, il vero detentore del potere sia militare che, direttamente e indirettamente, economico, abbandonò il vecchio leader al suo destino (fu arrestato e imprigionato) e gestì la transizione, fino all’elezione del Parlamento e del nuovo presidente, Morsi appunto. Il quale ebbe la maggioranza nel Parlamento e venne ad un accordo con l’esercito, il cui vertice fu messo da parte e sostituito dal generale Al Sisi, divenuto ministro della Difesa e garante del nuovo regime.
Senonché Morsi e i Fratelli Musulmani cominciarono non solo ad occupare tutti gli spazi del potere, ma stavano portando l’Egitto ad una dittatura teocratica. Fu allora che una serie di forze politiche laiche, di sinistra, liberali, anche islamiste moderate cominciarono ad organizzare un’opposizione che cominciò subito ad ingrossarsi, a tal punto che furono raccolte addirittura venti milioni di firme di cittadini che chiedevano le dimissioni di Morsi. Il quale non solo si guardò bene dal concederle ma accelerò la conquista del potere esautorando la magistratura e di conseguenza l’esercito. Per di più, oltre ad un regime di chiara deriva islamista, Morsi aveva gestito male l’economia, facendo precipitare il Paese nel caos.
Iniziarono così nuovamente proteste generalizzate di piazza, con milioni di partecipanti, e fu presto scontro tra i Fratelli Musulmani e il popolo politicamente variegato. Fu a questo punto che l’esercito intervenne ponendo delle condizioni al presidente Morsi, che non rispose nel tempo stabilito dall’esercito, per cui agli inizi di luglio dell’anno scorso si arrivò al “golpe”, con l’arresto di Morsi stesso e di vari dirigenti della Fratellanza Musulmana. Gli scontri furono cruenti, centinaia e centinaia le vittime, ma alla fine l’esercito ha avuto la meglio, Morsi si trova sempre in carcere, gli altri leader pure, in attesa di un processo che s’annuncia molto vendicativo, i Fratelli Musulmani dichiarati fuorilegge e una popolazione che applaude all’esercito. Il ritornello è sempre lo stesso: non ci sono altre soluzioni. La Costituzione, rispetto a quella precedente, contiene delle aperture riguardo ai diritti civili, ma resta il fatto che la sharia è il punto di partenza, anche se non l’unico, del diritto.
In aprile, quando ci saranno le elezioni, non ci sarà nessuna novità: il generale Al Sisi sarà eletto a furor di popolo nuovo raìs dell’Egitto. In sostanza, tutta la protesta degli ultimi tre anni si è risolta con la sostituzione di un mezzo dittatore – Mubarak – con un altro mezzo (o intero) dittatore – Al Sisi – con l’esercito che comandava prima e comanderà dopo e con un tipo di democrazia che non differisce in nulla rispetto a quella che c’era prima. Insomma, da Mubarak a Al Sisi, nuovo astro nascente che avrà un periodo di circa vent’anni di potere.
Al Sisi firmerà gli accordi con gli Stati uniti, starà attento a non rompere con Israele, esattamente come aveva fatto Mubarak, e a tenere rapporti di buon vicinato con le potenze del Medio Oriente. Al Sisi è un pio musulmano moderato, va bene all’esercito, di cui è espressione, e sarà sostenuto dalle varie forze politiche, laiche e religiose. Quando il consenso verrà meno, resterà al potere con la forza, esattamente come aveva fatto Mubarak.
La “primavera araba” ha dato questo risultato e non poteva darne nessun altro. Rispetto alla Libia è un passo avanti, rispetto alla Tunisia un passo indietro, ma è quanto il convento passa al giorno di oggi.