È stato sperimentato un innovativo sistema per purificare l’acqua del mare e renderla bevibile, sperando così di risolvere il grandissimo problema della mancanza d’acqua che colpisce i Paesi poveri del mondo
Siamo in estate, c’è caldo, si suda di più, la voglia di bere è maggiore. Anche nei Paesi ricchi dove non si soffre la sete l’acqua è un bene prezioso, figuriamoci in quelle regioni – e sono tante nel mondo – dove bere diventa un problema a causa della siccità e delle difficoltà geografiche e tecniche per approvvigionarsi di acqua dolce. Non è un problema recente, sono già molti anni che se ne parla. Qualcosa è stato fatto, ma quando intere aree di centinaia di migliaia di km quadrati sono confrontate con il problema dell’acqua potabile, ci si rende conto che le soluzioni trovate sono solo dei tamponi. Il problema, drammatico, si ripresenta sempre. Si pensi a tutta la fascia equatoriale del globo e si ha l’idea della dimensione del numero degli abitanti da dissetare. Questo, d’altra parte, è solo un aspetto di tutta la questione, che riguarda anche l’irrigazione dei campi e dunque lo sviluppo dell’agricoltura. Già in passato si è pensato all’acqua del mare, ma è chiaro a tutti che dissalare e purificare l’acqua del mare è un processo lungo, complesso e costoso che spesso scoraggia anche le imprese animate da una forte volontà.
Senza contare che le distanze, le dimensioni delle aree da irrigare, sono enormi. Se parliamo di questo tema è perché ci sono delle novità in vista, che provengono dalla scienza e in particolare dagli studi del professor Jeeson Reese, docente di Dinamica dei fluidi presso la Strathclyde University di Glasgow, in Scozia. Lo studio del professor Reese è apparso sulla rivista scientifica americana, Physics World, dove in genere vengono presentate tutte le più grandi scoperte nel campo della fisica, e si basa sull’uso dei cosiddetti nanotubi. Cosa sono i nanotubi? Ecco la risposta tratta dalla spiegazione dello stesso professor Jeeson Reese: “I nanotubi sono costruzioni artificiali, create col laser ad altissima precisione, di dimensioni davvero infinitesime: solo qualche milionesimo di millimetro. Nel nostro caso sono composte da un materiale, il carbonio, che unisce una grande versatilità d’impiego a un’incredibile resistenza. Esse formano una specie di ragnatela che si chiude su se stessa formando dei tubicini invisibili all’occhio umano. Sono chiamati nanotubi proprio perché l’unità di misura con cui sono misurati è il nanometro: ce ne vuole un miliardo per fare un metro”. In pratica, i nanotubi possono unirsi tra di loro come i mattoncini dei giocattoli per bambini, creando una sorte di rete a maglie molto strette, talmente fini da intrappolare i sali minerali disciolti che rendono per noi imbevibile l’acqua del mare, che così non può ancora essere bevuta, perché deve prima passare attraverso una membrana in grado di eliminare i sali minerali residui e le altre sostanze inquinanti.
Le membrane esistono già ma senza i nanotubi possono svolgere un lavoro limitato. Insomma, la loro efficienza, quella delle membrane, migliorerebbe di tanto proprio grazie ai nanotubi. Chiarito questo concetto, che riguarda il sistema di purificazione dell’acqua del mare, passiamo alla fattibilità e ai costi. Dice il professor Reese: “Questo sistema è venti volte più efficiente, in base ai nostri esperimenti. Significa che a parità di acqua di mare sottoposta al processo di purificazione, entre prima si riusciva ad ottenere un litro di acqua da bere, oggi ne possiamo ottenere venti. In questo modo diminuiscono i costi, che prima potevano essere sostenuti solo dai Paesi molto ricchi: attualmente cento litri di acqua dissalata costano circa un euro e venti centesimi. Grazie al sistema da noi messo a punto la stessa quantità di acqua potrebbe essere dissalata con un costo poco superiore ai cinque centesimi. Il prezzo cui mi riferisco non è quello che pagherebbero i cittadini ma quello che l’impresa deve sostenere per ottenere, appunto, cento litri di acqua”. Come abbiamo accennato all’inizio, il problema dell’acqua non riguarda solo i Paesi poveri ma anche quelli ricchi dove ci sono i deserti, come gli Stati Uniti e l’Australia. Già sono in funzione gli impianti per la dissalazione dell’acqua del mare, ma i costi sono eccessivi.
Con la scoperta dei nanotubi non c’è solo la possibilità di dissalare l’acqua del mare a costi ridotti, ma si può purificare anche l’acqua dolce inquinata. Questo è un secondo aspetto della ricerca, iniziata in tempi più recenti, che permetterà di utilizzare l’acqua dolce inquinata dei ruscelli o dei pozzi, utile sia alla gente che all’agricoltura.