Vertice internazionale ad Istanbul dei ministri degli Esteri dei Paesi occidentali e della Lega araba
Dopo Hula, Hama, ma è sempre strage in Siria, dove ci sono stati spari anche contro gli osservatori internazionali, ovviamente col solito balletto delle responsabilità: opera degli insorti per il governo, del regime per gl’insorti. La situazione sta lentamente precipitando verso la rinuncia al cessate il fuoco. A parole tutti dicono che il piano Annan va rispettato e rilanciato, ma in realtà le stragi si moltiplicano e con esse il palleggio delle responsabilità.
La settimana scorsa sono stati una ventina gli ambasciatori di Paesi occidentali considerati dal regime di Assad non graditi, con invito alla partenza. Il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, ha ribattuto che in realtà l’Italia era già andata via. In un’intervista Terzi ha ribadito il sostegno italiano al piano Annan, ma dalla transizione l’attuale presidente della Siria, Assad, che dovrebbe solo rassegnare le dimissioni, eventualmente con offerta di esilio dorato in qualche Paese di suo gradimento. La situazione, a parte le stragi, è di paralisi. Nessun intervento può essere messo in atto, pena la deflagrazione di un conflitto. A Parigi, dove si sono incontrati Hollande e Putin, sono volate parole irritate da parte di quest’ultimo, quando, rivolgendosi alla dichiarazione di Hollande, che sostiene un intervento militare in Siria, ha denunciato il silenzio che ha circondato tutte le stragi commesse dagli insorti in Libia e l’unilateralità delle opinioni orientate dai giornali, che non dicono che oggi in Libia si sta peggio. Dopo Parigi, Putin è volato a Pechino, dove si suonava tutt’altra musica. Hu Jintao e Putin hanno condannato qualsiasi tipo di intervento militare in Siria, anzi, hanno messo in guardia da un’eventuale iniziativa del genere, anche se i due hanno ripetuto che loro non difendono né la rivolta, né il regime. A volte sia Putin che Jintao danno l’impressione di prendere le distanze dalla persona di Assad, ma di fatto sono i cani da guardia dello status quo, per evidenti motivi di partnership economica e commerciale, in particolare la vendita delle armi.
In realtà, se l’aspetto economico commerciale è importante, ancora di più per Russia e Cina è quello politico e militare. Insomma, Russia e Cina temono l’espansionismo dei Paesi occidentali e in particolare degli Usa e della Francia e dell’Inghilterra. Non vogliono un’altra Libia, come già abbiamo avuto occasione di notare. La Russia, poi, s’è legata al dito l’insistenza degli Usa sullo scudo missilistico in Polonia e nella Repubblica Ceca puntato verso sud, cioè verso l’Iran. La Russia, in particolare, dice che lo scudo come può essere puntato verso sud, così può essere puntato verso nord o est. Intanto, la Russia nota che gli Usa sono penetrati in molti Paesi ex Unione sovietica, a due passi dai confini con la Russia stessa. Ciò non è visto di buon occhio dai russi che si sentono ancora una potenza economica e militare, non dimentica dei fasti militari sovietici, ma che soprattutto temono la concorrenza americana. Avere perciò una rete di rapporti internazionali conviene sia per evitare che gli occidentali prendano tutto, sia per espandersi economicamente.
Al Vertice internazionale di Istanbul, nel formato “Amici della Siria” si sono riuniti i ministri degli Esteri dei maggiori paesi occidentali e del Medio Oriente (Lega araba), ma non sono emerse novità di rilievo. Si lavora sul filo delle parole e delle sfumature, come quella secondo cui “nessuno ha intenzione di ripetere l’esperienza libica”, ma di favorire l’avvicinamento con Mosca che, secondo il ministro Giulio Terzi, “non vuole difendere Assad a tutti i costi, ma punta ad una transizione verso nuovi assetti politici”. “Si tratta, concluse Terzi, “di lavorare su queste basi per rendere possibile l’applicazione del piano Annan”.