Abbiamo letto con interesse l’articolo pubblicato sulla Neue Zürcher Zeitung dello scorso 24 aprile, sotto il titolo: “Die Italiener in der Schweiz fühlen sich von ihrer Heimat betrogen”…
Nell’articolo vengono riportate le affermazioni di Ippazio Calabrese, dirigente della comunità italiana di Lucerna, oltre a quelle del prof. Rolando Ferrarese, membro del Comites di San Gallo, che lamentano il disinteresse dello Stato italiano per la conservazione dei numerosi centri culturali italiani presenti a Lucerna, San Gallo e a Zurigo, di cui le Autorità ministeriali romane hanno già deciso la vendita, ovvero, nel caso di Zurigo, ne hanno annunciato la chiusura in vista di una ristrutturazione dai contorni e dalle finalità ancora non ben definite.
Le accuse che vengono mosse allo Stato italiano ci sembrano, in verità, abbastanza gravi, ma anche – ci teniamo a sottolinearlo -, non sufficientemente fondate.
Non è nostra abitudine prendere le difese di ufficio del consolato generale o del ministero degli esteri, che abbiamo anzi criticato a più riprese per quella che a noi appare, in generale, come una conduzione inadeguata e passiva degli uffici consolari. Nel caso presente, però, riteniamo che si impongano alcune doverose precisazioni, di natura, diciamo così, storiche.
Per inquadrare correttamente il problema, dobbiamo purtroppo soffermarci su alcuni aspetti di natura tecnica e speriamo perciò di non annoiare eccessivamente i lettori. Vorremmo partire anzitutto dalla vicenda della Casa d’Italia di Lucerna, venduta, come è noto, a una società svizzera, con la conseguente cessazione, disgraziatamente, di tutte le attività storicamente gestite dal locale collettività italiana.
La domanda che, secondo noi, occorre porsi, è la seguente: come mai si è arrivati a prendere una decisione, che non tiene minimamente in conto gli interessi della collettività italiana qui residente? Ora, è vero che una legge del Parlamento italiano impone di vendere gli immobili demaniali per fare cassa e ridurre, in qualche modo, l’enorme debito pubblico dello Stato italiano, ma, nel caso dell’immobile di Lucerna, l’onestà impone di dire che il Consolato generale di Zurigo ha cercato a suo tempo in tutti i modi di scongiurare un tale esito.
Noi ricordiamo bene che fino al 2016 non si parlava ancora di vendita dell’immobile di Lucerna, se non in via subordinata. In quegli anni, infatti, la questione principale, oggetto di serrata discussione tra la Fondazione Casa d’Italia e il Consolato generale di Zurigo, era quella di rinnovare la concessione ventennale che lo Stato italiano aveva riconosciuto, a un prezzo puramente simbolico, alla stessa Fondazione.
In occasione del rinnovo della concessione – auspicata con insistenza dagli stessi dirigenti della Casa d’Italia -, il Consolato generale di Zurigo – sulla base delle indicazioni ministeriali – aveva chiesto alla Fondazione il rilascio di una garanzia bancaria in vista degli indifferibili lavori di ristrutturazione dell’edificio.
Tale garanzia, nonostante le ripetute promesse, non è stata mai fornita. Noi ricordiamo che l’allora Console generale aveva preparato una nuova bozza di concessione, che puntava a rilanciare su grande scala le attività della Casa d’Italia di Lucerna. Ma anche questa iniziativa non ha trovato alcun riscontro presso i dirigenti interessati.
Cosa dedurre da tutto ciò? Secondo noi, la risposta potrebbe essere la seguente: i dirigenti della Casa d’Italia erano convinti, all’apparenza, che era possibile, grazie ai consueti canali politici e sulla base altresì dell’esperienza del passato, ottenere il rinnovo della concessione, senza pagare nulla e senza presentare le richieste garanzie bancarie. Purtroppo, le cose non sono andate per il verso sperato. Per questo, noi pensiamo che occorrerebbe fare, anzitutto, un po’ di autocritica.
Quanto poi alla vendita dell’ex Consolato d’Italia in San Gallo, che pure viene citato nell’articolo della NZZ, vale la pena ricordare che alcuni membri del locale Comites, al fine di scongiurare la vendita dell’edificio demaniale, decisero, già nel 2014, di occupare la sede del Consolato, scelsero, cioè, di commettere un reato, invadendo una proprietà dello Stato italiano. Tale occupazione, che costituisce, secondo noi, un fatto gravissimo, avrebbe meritato una denuncia davanti al Tribunale penale. Ma l’allora Console di San Gallo non mostrò sufficiente coraggio.
Ora, apprendiamo dal prof. Rolando Ferrarese, che un ricorso in proposito continua a pendere davanti al Tribunale amministrativo del Lazio, con l’obiettivo – dobbiamo supporre – di riaprire il Consolato di San Gallo e, quindi, con l’obbligo per lo Stato italiano di comprare un nuovo immobile in quella città. Sul punto, ci domandiamo, sommessamente: serve davvero un Consolato italiano a San Gallo? Una città, per altro, che dista poco più di mezz’ora in treno da Zurigo, ove è attivo il Consolato generale più efficiente di tutta la Svizzera?
Quanto infine alla Casa d’Italia di Zurigo appare utile ricordare che la sua vendita, ovvero la sua privatizzazione, in tutto o in parte, fu scongiurata soltanto per un pelo. Fu, infatti, la determinazione dell’ex console generale a salvare, molto probabilmente, l’edificio di Zurigo, su cui si erano già concentrati forti appetiti privati.
Insomma, a noi sembra che la collettività dovrebbe essere più vigile e adoperarsi, anche con propri mezzi finanziari, a preservare o a creare nuove strutture di riferimento per la collettività italiana qui residente.
Gerolamo de Palma
Coordinatore del MAIE
per il Canton Ticino