Il partito islamico al governo, Ennahda, e le opposizioni laiche stanno preparando la nuova Costituzione frutto della “Primavera araba”
Dei tre Paesi dove iniziarono le “Primavere arabe” nell’autunno del 2011 – l’Egitto, la Tunisia e la Libia – uno è ancora nel caos (la Libia) e non si vede una via d’uscita nell’immediato senza traumi; l’altro, l’Egitto, ne sta uscendo dopo aver pagato costi enormi in termini di vite umane e dopo una rottura insanabile nel Paese tra Fratelli Musulmani messi al bando e le altre forze politiche che si sono strette attorno all’esercito. Come detto in altro articolo, in Egitto è sempre l’esercito l’arbitro del potere e tutto è tornato come prima, con il semplice cambiamento di un nome: da Mubarak e Al Sisi. Nel terzo Paese, la Tunisia, invece, le cose vanno molto meglio, per una serie di motivi. Il primo è che la Tunisia di Ben Alì, il presidente costretto alle dimissioni e che trovò rifugio in un altro Paese arabo con la sua famiglia, non stava messo così male economicamente; il secondo è che la Tunisia di Ben Alì era guidata sì da un dittatore, ma non era un sanguinario e garantiva una certa libertà. Dopo l’uscita di scena del vecchio presidente, il potere è stato conquistato da un partito islamico, Ennahda, ma l’opposizione laica è riuscita, seppure a prezzo di enormi sacrifici e lotte, a controbilanciare l’invadenza del partito vincitore, che è è stato costretto a venire, alla fine, a patti con le opposizioni. In sostanza, non è stato portato alle estreme conseguenze il tentativo di Ennahda di impadronirsi di tutto e di dare una svolta teocratica, ma c’è stato quel dialogo che ora prefigura un futuro di convivenza nazionale. Va ricordato anche che la Tunisia fin dall’indipendenza dalla Francia degli anni Cinquanta ha goduto di leggi più liberali che altrove nel mondo arabo, come accennato prima. Oggi se ne raccolgono i risultati.
Vediamo qual è la diversità della Tunisia. Come succede in ogni Paese dove c’è un cambio traumatico di regime, anche in Tunisia si è proceduto a formare un governo nuovo frutto di elezioni. Al potere, come detto, ci è andato il partito islamico a metà moderato e a metà meno, ma è prevalso, appunto, il dialogo. Ora tocca approvare una nuova Costituzione e nuove elezioni per rafforzare la nuova fase. Ed è proprio la Costituzione il banco di prova dei passi in avanti o dei passi indietro. A giudicare da alcuni articoli approvati nei giorni scorsi, le novità ci sono, per quanto vale sempre l’avvertimento che si tratta di Paesi arabi e non occidentali. La prima novità è l’articolo che stabilisce che “tutti i cittadini e le cittadine hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono eguali davanti alla legge senza alcuna discriminazione”. Parrebbe un fatto scontato, ma in un Paese arabo i diritti e i doveri non lo sono, dunque, averlo affermato solennemente equivale ad una conquista, ottenuta grazie alle opposizioni laiche e tanto più importante se si pensa che fino a qualche mese fa il tentativo di Ennahda è stato di far passare il concetto di “complementarietà” della donna rispetto all’uomo, cioè la donna non avrebbe dovuto avere gli stessi diritti dell’uomo. Mossa retrograda bloccata, dunque.
Le organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Right hanno trovato da ridire, nel senso che avrebbero voluto che la parità di diritti fosse meglio precisata, ad esempio che non doveva essere tollerata nessuna discriminazione dovuta a razza, colore, religione, lingua e opinioni politiche, e che nella parità avrebbero dovuto trovare cittadinanza anche uomini e donne stranieri. L’osservazione è fondata, ma, come detto, tenuto conto che siamo in un Paese arabo, la politica dei piccoli passi è quella che paga di più.
Un altro articolo riguarda “l’uguaglianza delle opportunità” fra i due sessi, in modo particolare rispetto al diritto ereditario. Insomma, mentre prima alla donna non veniva riconosciuto quasi nessun diritto se non marginalmente, ora la forbice tra l’uomo e la donna si restringe, senza peraltro chiudersi del tutto per davvero.
E’ poco, magari si tratta di conquiste più sulla carta che nella realtà della vita di tutti i giorni, ma i progressi ci sono, e di essi bisogna prendere atto. La strada è lunga ma almeno in Tunisia il cammino è iniziato.