Braccio di ferro tra democratici e repubblicani su bilancio e innalzamento del debito pubblico ma la compattezza di questi ultimi potrebbe rompersi
Non sappiamo se entro il 17 ottobre un accordo tra repubblicani e democratici sarà stato trovato sul bilancio dello Stato e sull’innalzamento del tetto del debito per evitare il default. Al momento in cui scriviamo c’è stato l’incontro tra Obama e John Boenher ma nessun concreto passo avanti è stato fatto. Le posizioni sono rimaste distanti. I repubblicani sarebbero pronti a votare il bilancio e l’innalzamento del debito a condizione che il presidente conceda tagli alla spesa pubblica, in pratica a smembrare la riforma sanitaria che prevede il pagamento di un’assicurazione malattia a circa 40 milioni di americani finora esclusi.
Non c’è stato, dunque, nessun accordo, ma nemmeno nessuna rottura. Tutto è ancora possibile, i giochi sono ancora aperti. A mascherare, infatti, l’esito negativo dell’incontro è intervenuta prima una nota del leader repubblicano che ha dichiarato che “non è stata presa alcuna decisione finale” e successivamente anche una nota della Casa bianca, nella quale si dicono le stesse cose, che cioè il confronto sarebbe continuato nelle ore successive. Questo botta e risposta sta ad indicare che c’è un braccio di ferro, nessuno vuole cedere, ma tutti sperano che all’ultimo momento qualcuno lo faccia. I pericoli del default sono troppo grandi, sia per gli Stati Uniti, sia per tutti quei Paesi, Europa compresa, che dipendono dall’economia americana.
Chi si è sentita in dovere di richiamare gli Usa alla responsabilità è stata nientemeno che la Cina con l’autorevole intervento del vice ministro per le Finanze, Zhu Guangyao. “Come maggiore economia del mondo”, ha detto il vice ministro, “ e come Paese che emette la maggior valuta di riserva, è importante che gli Stati Uniti effettuino passi credibili per affrontare la disputa sul tetto del debito in tempi certi ed evitino un default. Speriamo che gli Stati Uniti sappiano trarre lezioni dalla storia”.
Come mai l’invito cinese ad evitare il default? Semplice: la Cina è il più grande creditore straniero degli Usa. In pratica detiene 1.277 miliardi di dollari in obbligazioni, che corrispondono al 7,6% dell’intero debito pubblico statunitense, che è di 16.699 miliardi di dollari. Insomma, se ci dovesse essere un default degli Usa la Cina si vedrebbe volatilizzare i soldi che ha investito nel debito pubblico statunitense.
Un altro autorevole invito a trovare un accordo di responsabilità proviene dall’Ue, e non è un caso. L’Europa è in profonda crisi, ma ci sono segnali – molto tiepidi, per la verità – di una ripresa nel corso della fine di quest’anno e degli inizi dell’anno prossimo. In caso di default americano la “ripresina” andrebbe a farsi benedire e a risentirne sarebbero tutti quei Paesi – Italia in primo luogo – che hanno più difficoltà di altri nell’uscire dalla crisi.
A quarantotto ore dalla data cruciale di giovedì 17 ottobre tutto tace. Obama aspetta che cedano i repubblicani, questi ultimi che sia Obama a cedere sul taglio della spesa pubblica. Sono in molti, però, tra i repubblicani che sono preoccupati per l’impopolarità del braccio di ferro. Un conservatore moderato come John McCain ha lanciato i suoi strali contro la destra impersonata dai Tea Party, in grado di condizionare l’elezione di vari parlamentari su tutto il territorio americano in quanto dispongono di una rete capillare di militanti in grado di influenzare il risultato delle primarie per le candidature. Le parole di McCain sono chiare e risentite. Ha detto: “Rispetto Cruz (il leader dei Tea Party, ndr), ma noi repubblicani dobbiamo decidere se seguire lui o prendere un’altra direzione per cercare di conquistare la maggioranza degli americani”. McCain non è isolato, dunque si profila una rottura all’interno del partito repubblicano, ma ora, a 48 ore dal default, ancora non lo si può dire con certezza. La posta in gioco è altissima. Se dovesse esserci default, il governo da giovedì 17 non potrebbe pagare gli interessi sul debito pubblico. Il primo effetto sarebbe un crollo dei mercati, prevedibile per la fine di ottobre, per cui lo stesso governo non sarebbe più in grado di finanziare il welfare e l’economia, a giudizio degli economisti, entrerebbe in una fase di forte recessione.