Domani l’incontro tra Svizzera e Ue per risolvere i nodi del rapporto bilaterale. Secondo un sondaggio, in Svizzera diminuisce la simpatia nei confronti dei bilaterali e aumentano i favorevoli all’abolizione
Il rapporto tra Svizzera e Unione europea (Ue) ha occupato la politica svizzera della scorsa settimana. In attesa della visita a Berna del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, il Consiglio federale si è riunito per discutere sulla strategia. C’era grande attesa sulla decisione del governo riguardo al miliardo di coesione. L’importo di 1.04 miliardi di franchi è destinato per ridurre le disparità tra gli stati membri dell’Ue ed è stato approvato dal Parlamento lo scorso anno e copre gli anni dal 2017 al 2020 e contro questa legge non può essere indetto il referendum. Fino ad ora la Svizzera ha già partecipato con 1.3 miliardi e non è tenuta a versare nuovi aiuti. Il governo ha già deciso sulla posizione della Svizzera, ma le intenzioni saranno comunicate domani, 23 novembre, dopo l’incontro con Juncker. La fase dei rapporti con l’Ue è molto delicata ed è possibile che la Svizzera annodi il pagamento a condizioni più favorevoli nelle complicate trattative. Il punto cruciale ancora irrisolto è un accordo quadro istituzionale per i rapporti tra Svizzera e Ue, che prevede norme europee nell’ordinamento elvetico per risolvere i contenziosi bilaterali tra Confederazione e Ue. Ovvero come adattare il diritto svizzero in funzione di quello europeo e chi avrà l’ultima parola nei disaccordi. L’accordo è ritenuto indispensabile per l’accesso al mercato unico, ma il Consiglio federale è contrario a cedere segmenti di sovranità. Inoltre deve fare fronte alla crescente opposizione interna nei confronti dell’Ue e nascondendo le carte ha evitato un’intensa discussione interna fino all’incontro. L’obiettivo è di sbloccare il miliardo di coesione per ottenere delle contropartite che mirino a normalizzare i rapporti bilaterali, con i molti dossier aperti, dopo anni di gelo.
Dunque la Confederazione si impegna con risolutezza per salvaguardare i rapporti con l’Ue, ma gli svizzeri sono diventati più scettici sul futuro rapporto con l’Europa, come rivela un sondaggio rappresentativo dell’istituto gfs.berna su mandato dell’istituto bancario Credit Suisse. Rispetto al 2016 sono molto di meno gli aventi diritto al voto svizzeri che desiderano regolare il rapporto con l’Ue per vie bilaterali. Gli accordi bilaterali restano una priorità e trovano il consenso del 60% degli interpellati, ma non sono più così popolari, visto che l’approvazione è diminuita del 21%. È un rapporto ambivalente e la diminuzione secondo Lukas Golder, politologo di gfs.berna, si spiega con “un ritorno a un giudizio più imparziale dopo gli intensi dibatti mediali sull’iniziativa contro l’immigrazione di massa nel 2016”. Parallelamente il 28% (+9%) è disposto ad abolirli. L’alternativa è lo spazio economico europeo (SEE) che per la prima volta il barometro europeo indica in maggioranza (51%). Nei confronti dell’affievolirsi dell’appoggio ai bilaterali cresce il gradimento a un’adesione all’Ue con il 21%, 10 punti in più rispetto al 2015.
Per gli svizzeri che vogliono la via bilaterale si tratta dunque chiaramente e solo di una questione economica. Gli obiettivi degli svizzeri sono altri: il 97% ritiene importante la promozione della formazione, l’82% punta alla riduzione della disoccupazione giovanile e l’84% alla riduzione dell’inquinamento. Dati che rispecchiano la crescita di appartenenza alla nazione. Sono aumentati al 56% (+11%) i cittadini che si sentono più svizzeri, più dell’appartenenza alla regione linguistica (55%) o del cantone o comune di origine. Nella Confederazione l’identità europea è sentita solo da una piccolissima minoranza, appena l’11% si sente di appartenere all’Europa.
Gaetano Scopelliti