Viviamo (da tempo ormai) nell’epoca della comunicazione globale, veloce e alla portata di tutti – si pensi solo al fatto che certi avvenimenti tipo le guerre e i loro danni e conseguenze, sono fatti e notizie prima addirittura che avvengano realmente – ma mai come ora che l’accesso alle notizie è diventato più facile, è contemporaneamente diventato più difficile essere correttamente informati.
Il caso, ad esempio, della sentenza della Suprema Corte che assegna il figlio alla madre lesbica che convive con un’altra donna è emblematico. Dopo la sentenza, ecco i giudizi di vari soggetti, politici e non, su di essa, giudizi che, ricordiamolo, fanno opinione. Le associazioni dei gay hanno salutato la sentenza come “storica”, vedendo in essa il via alle adozioni da parte di coppie omosessuali; sulla stessa lunghezza d’onda Ignazio Marino, Pd, che ha affermato che “la conoscenza scientifica deve contribuire ad eliminare certi tabù”. Di parere opposto Maurizio Gasparri, Pdl, che parla di sentenza “grave e pericolosa”; gli fa eco Maurizio Lupi, suo collega di partito, che vi vede “un attacco alla famiglia per via giudiziaria”. Contro la sentenza, seppure in toni più sfumati, la Cei: “Non si deve costruire una civiltà attraverso le sentenze dei tribunali”. Paola Binetti, Udc, a sua volta sentenzia: le coppie gay non hanno alcuna garanzia di vincolo stabile”.
Ora, come si può capire, tutti criticano o approvano la sentenza in riferimento al fatto che il bambino andrà a vivere all’interno di una coppia gay e dunque in base al riconoscimento o meno della possibilità per una coppia gay di adottare un bambino. Ora, mentre i giudizi si appuntano su questioni ideologiche, la sentenza riguarda semplicemente l’attribuzione di un bambino all’uno o all’altro coniuge. La realtà è, dunque, un’altra, completamente diversa, e per fortuna il tribunale non ha tenuto conto di nessuno dei pareri appena riportati. Il fatto riguarda l’assegnazione del bambino in seguito alla separazione dei genitori. La donna, nel caso specifico scopertasi lesbica e andata a convivere con un’altra donna, rivendica l’assegnazione del figlio, l’uomo fa altrettanto. Il tribunale di prima di seconda istanza avevano assegnato il bambino alla madre contro il parere del padre che sosteneva che sull’educazione del bambino ci sarebbero potute essere delle “ripercussioni negative”. La Cassazione ha confermato le sentenze di prima e seconda istanza assegnando dunque definitivamente il bambino alla madre, motivando il rigetto del ricorso del padre con il fatto che le ripercussioni negative sono tutte da dimostrare, quindi che non si può assumere il pregiudizio come prova senza che questa sia stata dimostrata.
Dov’è la disinformazione? Sta nel cambiare i termini della questione. Il tribunale ha assegnato il figlio alla madre, non alla coppia gay, secondo la lettura di Gasparri, Binetti, Cei. Il tribunale ha assegnato il bambino, ancora una volta, alla madre, non ha affatto legittimato l’adozione di bambini ad un coppia omosessuale, secondo la lettura delle associazioni dei gay e di Ignazio Marino. Il tribunale, evidentemente, poteva assegnare legittimamente il figlio al padre, ma in Italia, in genere, si assegnano i figli minori alla madre, indipendentemente da altre questioni ideologiche. Non solo. Non l’ha fatto per almeno tre motivi validi. Primo, perché il padre era violento e ne ha dato dimostrazione davanti al figlio, suscitando i suoi “sentimenti di rabbia”; secondo, perché si era “sottratto anche agli incontri protetti”; terzo, perché il figlio non voleva essere assegnato a lui. Se il tribunale lo avesse assegnato al padre, avrebbe esercitato un potere coercitivo contrario alla legge, in punta di diritto e di rapporti affettivi.
Che poi la madre si sia scoperta gay e conviva con un’altra donna è secondario: non è per questo che il figlio è stato assegnato a lei, il bambino è stato assegnato alla madre, e solo alla madre, con buona pace di coloro che vedono e vogliono vedere solo ciò che a loro fa più comodo.