Mercoledì 15 luglio 2015 su ordine del prefetto di Treviso vengono trasferiti nel Comune di Quinto, paese limitrofo di circa 11 mila abitanti, 101 profughi, un gruppo fra i tanti scampati dalle tragedie del mare. Vera emergenza se pensiamo a genitori che hanno perso i figli e minorenni rimasti orfani. Vengono alloggiati in una palazzina di 28 appartamenti, di cui una decina occupati da residenti. Subito si scatena una violenta protesta da parte dei paesani. Nella notte fra il 15-16 costoro penetrano negli alloggi, confiscano tutto, asportano mobili, materassi, TV, elettrodomestici, buttano in strada, appiccano il fuoco, nel rogo tutto incendiano tra una folla plaudente. È bottino di guerra. Una rivolta, uno scontro sobillato da gruppi della Lega, dell’estrema destra e casa Pound.
Il giorno seguente all’ora dei pasti quando gli operatori addetti distribuiscono il pranzo vengono bloccati, rapinati del cibo, del pane fatto volare sui marciapiedi e sul prato. Al grido: negri tornate a casa, qui siamo noi, questa è terra nostra, Italia e non Africa, abbiamo costruito noi, noi paghiamo il mutuo e voi ci sfruttate. Il Ministro degli Interni ci mette una toppa peggiore dello sbrego ed esonera il prefetto per insufficienza di coordinamento. Si precipita Zaia governatore della Regione lanciando il messaggio: “non vogliamo l’africanizzazione del Veneto”, cui segue la visita pastorale di Salvini, segretario della Lega Nord, per benedire con i suoi paramenti la guerra santa. Quinto non è certo un paese da fame e sull’orlo della miseria, ma è destino che in questi territori del Veneto e specie del trevisano, dove un certo sindaco Gentilin a suo tempo aveva proibito agli stranieri di sedersi sulle panchine dei giardini pubblici e aveva intimato: “quelli là, li vestiamo da leprotti e poi pim pum pam”, il rigetto dello straniero ha fatto scuola più che altrove. Nonostante dal oltre un secolo e mezzo i veneti siano stati accolti in giro per il mondo, abbiano fatto fortuna, raggiunto benessere. E mai si sono sentiti rinfacciare: non vogliamo la venetizzazione dell’Argentina, del Brasile, dell’Australia, della Svizzera …Ma al tempo eravamo poveri, cioè più umani. Vi è contraddizione soprattutto se pensiamo, a detta pure di alcuni profughi: “in Sicilia siamo stati accolti a braccia aperte e qui ci cacciano via”.
Ma qui magari rispondono che al Sud la gente riceve soldi a pioggia passati sottobanco dalla mafia. Insomma in questo mondo non si riesce più a credere se ci sia ancora qualcosa di pulito. A tale episodio va contrapposto contemporaneamente un altro. Parte da un prete, certo don Gianfranco Formenton, pure veneto di Bassano del Grappa, parroco in Umbria nella chiesa di S. Angelo in Mercole Spoleto, una contro provocazione a quella precedente. Non dimentica le sue origini e vuole dare una risposta agli incidenti di Treviso. Affigge in bella mostra un gran cartello alle porte della chiesa. “In questa chiesa vietato l’ingresso ai razzisti. Tornate a casa vostra”. Allude ovviamente al ritornello dei suoi corregionali: “africani, tornate a casa vostra”. Vi aggiunge anche un’espressione del Vangelo pronunciata di Gesù: “ero straniero e non mi avete accolto, andate maledetti al fuoco eterno” (Mt.25,18). Ovvio che l’iniziativa abbia avuto effetto virulento in tutta la penisola, con minacce di morte da una parte, e consensi dall’altra. A chi lo interpella l’interessato rincara la dose: “sono stato perfino gentile, Gesù è ancora più duro”. Senza peli sulla lingua auspica che la Chiesa di Treviso prenda posizione, e ringrazia la chiesa di Francesco che finalmente ha cominciato a sottolineare le vere esigenze evangeliche. C’è una violenza inaudita sul tema profughi, continua Formenton, l’emergenza delle peggiori pulsioni esistenti nella specie umana, coltivata da politici che non hanno memoria storica e fomentano l’odio individuando i nemici di turno negli stranieri per raccogliere consensi politici. Fra le adesioni non mancano quelle di alcuni preti milanesi: “Gianfranco siamo con te, tieni duro, non cedere, non togliere il cartello, butta fuori dalla chiesa leghisti e razzisti del genere. Nella diocesi di Milano i preti non hanno il coraggio di fare ciò che fai tu. Si fanno circondare anche nei consigli pastorali da questi pezzi di egoismo, factotum nelle organizzazioni delle feste delle salamelle, l’unico motore cattolico delle loro parrocchie.
Dissacratori dei diritti umani, questi non hanno l’anima”. Dei due episodi, il primo non vale la pena affrontare perché e di una quotidianità irritante, il secondo forse sì. Se pure con qualche riserva. Dal punto di vista psicologico ovvio e che Formenton si sia sentito offeso e umiliato, e per identità etnica si sia anche un po’ vergognato di essere veneto. Dal punto di vista religioso ammesso pure che fra molti italiani gran devoti , visionari, veggenti, pellegrini mariani ci siano anche falsi cattolici, ammesso pure che per accedere ad un’assemblea qualsiasi, sia essa sociale, sportiva, culturale bisogna condividere dei principi base (e nel caso in questioni l’amore e la tolleranza del prossimo, cardine del vangelo) però ad essere conseguenti allora bisognerebbe cacciare fuori dalla chiesa tutti quanti. Nessuno di noi più potrebbe entrarci, perché nessuno di noi è senza peccato. Anche il nostro don Gianfranco un po’ razzista contro i razzisti lo è. Comunque di fronte a questi episodi che stanno diventando sempre piu’ frequenti bisogna prepararsi ad una nuova gestione abbastanza radicale per il futuro. Per un futuro prossimo: causa l’accorpamento delle parrocchie in Unità pastorali tante canoniche, sono rimaste vuote e disabitate. Basta risistemarle e già possono diventare case di accoglienza.
Per un futuro più remoto ma già alle porte: ci si lamenta che l’Italia rischia di svuotarsi. Abbiamo più decessi annui che nascite. Nel 2050 le proiezioni danno che in Europa risiederà il 7% della popolazione mondiale con andamento anagrafico in continuo declino. I nostri paesi italiani di montagna sono disabitati, in via di spopolamento e degrado. Perché non rioccupare anche là edifici pubblici abbandonati per approntare stanziamenti di immigrati dando loro una concreta speranza di reinserimento? Potrebbero rendersi utili nel migliorare l’ambiente, per esempio per la manutenzione del bosco e del sottobosco cui non provvede piu’ nessuno. Così vi sarà anche un recupero del territorio e dell’ecoambiente. Le autorità statali, regionali, provinciali competenti a controllare l’inserimento ci sono, così come gli organi per l’addestramento. Tutti alla fine se ne guadagnerebbe. Con buona pace dei nostri razzisti (pardon nazionalisti) che lottano contro i mulini a vento. Anche fra di noi si è già iniziato in questo senso con buone prospettive. Perché il futuro dell’Italia non sarà l’Italia, il futuro dell’Europa non sarà l’Europa, ma il mondo. L’Africa, che sta a due passi supererà il miliardo di abitanti, aggiungi gli altri due giganti, la Cina e l’India. E questo non è utopia. Una vera politica europea nel senso alto del termine dovrebbe occuparsi di questo: studiare e proporre rimedi senza essere troppo accecata dagli egoismi paesani, regionali, nazionali. Fenomeni che finirebbero solo per logorarci.
ALBINO MICHELIN www.michelinalbino.ch