Il presidente dell’Agenzia britannica statale che controlla gli standard scolastici, Sir Michael Wilshaw, invita i genitori ad abbandonare la deresponsabilizzazione nell’educare i figli
C’è un libro pubblicato in Gran Bretagna negli anni Ottanta, scritto da Asha Phillips e intitolato “I no che aiutano a crescere” (Feltrinelli, pp. 215, euro 7,00). Questo, in sintesi, il contenuto e la tesi dell’autrice. Spesso dire di no è molto difficile, perché si va contro corrente, ma dire di no, rifiutare qualcosa che non si deve fare, è salutare, perché, come dice il titolo, aiuta a crescere, aiuta a capire ciò che si può fare e ciò che non si può fare. La crescita – anche quella dei genitori, che sono genitori, appunto, e non possono mai essere solo amici – avviene attraverso un iter educativo che presuppone dei sì e anche dei no, da cui poi si rielabora la capacità di scegliere e di essere responsabili.
Ebbene, da quando è stato pubblicato per la prima volta questo libro sono passati decenni, ma il suo messaggio è drammaticamente attuale se Sir Michael Wilshaw, responsabile dell’Agenzia statale che controlla gli standard scolastici e dei servizi britannici, lo ripropone all’attenzione dei genitori. I quali sono accusati di avere scarsa responsabilità nell’educazione dei figli. Ognuno, però, capisce che non sono solo i genitori inglesi a deresponsabilizzare i figli, sono i genitori di tutti i Paesi.
Oggi, si dice nel rapporto, in genere i bambini hanno tutto, ma vengono educati nella totale mancanza di regole, non viene più insegnato loro a distinguere se un comportamento è giusto o sbagliato. I figli vengono tenuti nella bambagia, tutto è loro dovuto, altrimenti possono dispiacersi e vivere male, e non ci si accorge che è esattamente il contrario: crescono senza responsabilità a loro volta e alla fine non sanno scegliere, non sanno assumersi le loro responsabilità e dunque si attendono che siano sempre gli altri a fare per loro le scelte. In una parola non solo rimangono bambini (i “bamboccioni”) ma tutto è loro dovuto, e finiscono per diventare dei piccoli, grandi tiranni.
Nel rapporto si dice che le case sono piene di genitori con problemi di alcol o di droga, che lasciano fare ai figli ciò che vogliono. Di fatto li abbandonano, non sono per loro una guida, un punto di riferimento. Spesso, questi genitori sono figli dei figli del ’68, dell’epoca in cui tutto si rimetteva in questione in nome della libertà totale e dei diritti spinti all’eccesso, per cui il tavolo si reggeva solo sui diritti, ma non sui doveri, per cui non c’era equilibrio. Decenni di deresponsabilizzazione hanno fatto ingenti danni, al punto che il Consiglio d’Europa raccomanda i genitori di coinvolgere il bambino, specialmente quando si tratta di scelte che riguardano la sua vita, che si tratti della circoncisione come del suo parere in un’aula di tribunale.
Ecco il giudizio di uno psichiatra, Giovanni Migliarese, dirigente del Fatebenefratelli di Milano: “Questa assenza di responsabilità spesso è mascherata dal rispetto delle scelte dei più piccoli, come se potessero già essere autonomi nel prendere le decisioni”. Il risultato di questo lasciar fare ha come conseguenza che il bambino e poi l’adolescente, siccome ha l’esigenza di riferirsi ad un insieme di coordinate che ne forgiano l’identità, riempiono il vuoto rifugiandosi in internet, nelle droghe, nelle realtà virtuali che lo isolano e, appunto, non lo aiutano a crescere. Insomma, si crea un circolo vizioso che riguarda la refrattarietà dei genitori a dare le regole, ma anche a seguirle. Ecco allora che il tratto caratteristico dei giovani, studenti compresi, è che “non accettano che gli si dica di aver sbagliato qualcosa o in qualcosa. Non sono stati abituati a considerare l’errore come una modalità per apprendere e migliorare”.
Il problema è più facilmente individuabile in una coppia con figlio unico: “Quando i genitori includono il bambino all’interno della coppia, senza delimitarne gli spazi, senza considerarlo separato da sé, diventa molto difficile fissarne poi dei limiti perché si teme una reazione ostile e non si vorrebbe mai fargli provare frustrazione”. Dunque, la soluzione è recuperare il terreno perduto sulla strada della responsabilizzazione, delle regole da rispettare, dei paletti da fissare, delle scelte da fare.