Gli aerei americani hanno condotto “con successo” nuovi raid contro obiettivi dello Stato Islamico dell’Iraq e il Levante (Isil) vicino a “Erbil e la diga di Mosul”
Lo ha confermato il Pentagono, spiegando che si è trattato di “nove raid aerei” effettuati con caccia e droni. Nei raid sono stati “distrutti o danneggiati quattro mezzi di trasporto truppe corazzati, sette veicoli armati, due Humvee e un veicolo corazzato”. Le forze dei peshmerga curdi intanto stanno avanzando verso Mosul e hanno ripreso il controllo dei villaggi di Telsqof e Risala, una trentina di chilometri a nord della città. Lo riferisce il sito curdo Rudaw, citando un comandante locale. L’avanzata giunge dopo che lo scorso sabato le forze aeree americane hanno iniziato a bombardare postazioni dell’Isil vicino alla strategica diga di Mosul. Fra le forze dei peshmerga, ovvero “quelli che affrontano la morte”, c’è anche un battaglione di donne le forze curde. Sono 550 le soldatesse del secondo battaglione, guidato dal colonnello Nahida Ahmad Rashid che si addestrano a Sulemanya, nel Kurdistan iracheno, e si dicono pronte a battersi. Sono tutte volontarie e molte di loro sono sposate e madri di famiglia. “Ho una figlia di dieci anni e quando vede i video degli attacchi dell’Isil su Facebook e su Internet mi dice: mamma quando andrai a combattere in prima linea, portami con te”, ha raccontato recentemente alla Bbc il colonnello Rashid. “Molte donne si presentano volontarie -spiega ancora il colonnello- vengono perché vogliono difendere le donne nelle aree di conflitto”. “È un onore far parte di un paese islamico moderno che permette alle donne di difendere la patria”, ha dichiarato al New York Post un’altra soldatessa, che fa parte del battaglione sin dalla sua creazione, nel 1996. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato all’unanimità una risoluzione volta a ostacolare il reclutamento e il finanziamento dei jihadisti dello Stato islamico attivi in Siria e in Iraq, mentre continuano a emergere nuove accuse di massacri compiuti contro la minoranza yazida presente nel nord dell’Iraq.
Il Consiglio Onu ha aggiunto i nomi di sei leader islamici, provenienti da Kuwait, Arabia Saudita e altre nazioni, nella lista delle sanzioni adottate contro i miliziani di al Qaida; le sanzioni prevedono embargo sulle armi, congelamento di beni e divieto di viaggio. Tra le sei persone prese di mira figurano leader di al Qaida, accusati di aver finanziato il Fronte al-Nusra in Siria, e Abu Mohammad al-Adnani, portavoce dei jihadisti dello Stato islamico. Al termine della votazione, l’ambasciatrice americana all’Onu Samantha Power ha sottolineato la “posizione ferma e unita” del Consiglio e la “volontà di adottare misure concrete” contro quello che ha definito il “nuovo fronte della minaccia terroristica”. Intanto i media occidentali hanno riferito di decine di uomini yazidi massacrati dai jihadisti nel villaggio di Kocho, a 45 chilometri dalla città di Sinjar.
Solo lo scorso venerdì i jihadisti dello Stato islamico hanno compiuto un “massacro” nel villaggio iracheno di Kocho, uccidendo decine di persone, perlopiù appartenenti alla minoranza yazida. Lo hanno riferito alla France presse funzionari curdi e un testimone. “Hanno compiuto un massacro contro la popolazione – ha detto l’alto funzionario curdo Hoshyar Zebari, citando informazioni di intelligence e fonti locali – circa 80 persone sono state uccise”. Un altro funzionario curdo della provincia di Dohuk ha confermato la notizia, mentre un testimone ha raccontato di aver visto molti cadaveri nel villaggio. Secondo le fonti, il massacro è stato compiuto ieri. “Abbiamo raccolto informazioni da diversi fonti, nella regione e attraverso l’intelligence, sul fatto che ieri pomeriggio un convoglio di uomini armati è entrato in questo villaggio”, ha detto Zebari alla France presse. Harim Kamal Agha, un alto esponente del partito curdo Unione patriottica del Kurdistan nella provincia di Dohuk, al confine con Ninive, ha riferito di 81 morti e di molte donne portate via dai jihadisti. Mohsen Tawwal, un combattente yazida, ha detto alla France presse di aver visto molti cadaveri nel villaggio di Kocho: “Siamo riusciti a entrare in una zona di Kocho, dove gli abitanti erano assediati, ma siano arrivati troppo tardi. C’erano cadaveri ovunque. Siamo riusciti a trovare solo due persone vive. Tutti gli altri erano stati uccisi”.
L’UNHCR – spiega un comunicato – ha iniziato il trasferimento dei nuovi rifugiati dal confine al campo martedì 12 agosto, su richiesta della autorità del campo e dei rifugiati stessi. Il campo di Newroz ospita circa 15mila Yazidi iracheni, centinaia hanno trovato invece rifugio nei villaggi limitrofi nelle vicinanze di Al Qahtaniyyeh e Ras Al Ain. Dopo qualche giorno di permanenza nel campo molti fanno ritorno in Iraq per ricongiungersi con i familiari nella zona di Dohuk, nel Kurdistan del nord, ma altre migliaia continuano ad arrivare. Molte famiglie di rifugiati sono state separate durante la fuga, sparpagliate tra Sinjar, la Siria, la regione del Kurdistan, bambini sono stati strappati ai loro genitori, uccisi, rapiti, o dispersi nel caos. La maggior parte dei bambini sono ora con i loro nonni, cugini o parenti lontani. Molti dei rifugiati raccontano di aver dovuto lasciare i loro anziani perché non riuscivano a portarli e sono ansiosi di sapere se sono ancora vivi. Altri che sono riusciti a trovare protezione nel campo raccontano di donne e ragazze costrette a rimanere e vendute. Le famiglie raccontano dell’uccisione dei loro ragazzi. Le comunità locali siriane hanno accolto con calore i rifugiati, fornendo trasporto, cucinando pasti caldi nelle loro case e consegnandoli nei campi e donando vestiti. L’UNHCR coordina l’assistenza ai rifugiati Yazidi in Siria. Una missione ONU congiunta è stata svolta il 12 agosto per portare tende, utensili per la casa, cibo, biscotti ad alto contenuto calorico, vestiti estivi per bambini e sapone forniti da UNHCR, WFP e UNICEF.