“Tremila ragazze sono state vendute nei mercati a 18 dollari l’una dai jihadisti dell’Isis”: lo ha denunciato al Consiglio di Sicurezza Onu Vian Dakhil
Dakhil, la parlamentare irachena della minoranza yazida lo scorso agosto raccontò al mondo gli orrori dell’attacco subito dalla propria comunità da parte dell’Isis nel Nord Iraq. “Veniamo massacrati, uccisi, le nostre donne vengono violentate, le nostre ragazze vendute, i nostri bambini rapiti”, ha detto. Il rapporto di Amnesty International, aveva denunciato la ferocia del gruppo armato Stato islamico, responsabile di rapimenti, torture, stupri e ulteriori forme di violenza sessuale contro le donne e le ragazze appartenenti alla minoranza yazida in Iraq.
Il rapporto, descrive le terribili violenze patite da centinaia, se non migliaia, di donne e ragazze yazide costrette a matrimoni forzati, “vendute” o date in “regalo” a combattenti e sostenitori dello Stato islamico. Spesso, le rapite sono state obbligate a convertirsi all’Islam.
«Centinaia di donne e ragazze yazide hanno avuto la vita distrutta a causa dell’orrore della violenza sessuale e della schiavitù sessuale cui sono state sottoposte dallo Stato islamico durante la prigionia», ha dichiarato Donatella Rovera, alta consulente per la risposta alle crisi di Amnesty International, che ha parlato con oltre 40 ex sequestrate nel nord dell’Iraq. «Molte delle vittime di schiavitù sessuale erano ragazze di 14-15 anni o persino più giovani. I combattenti dello Stato islamico usano lo stupro come arma dei loro attacchi, che rappresentano crimini di guerra e crimini contro l’umanità», ha aggiunto Rovera.
Le donne e le ragazze di cui parla il rapporto di Amnesty International fanno parte delle migliaia di yazidi della regione di Sijnar, nell’Iraq nordoccidentale, vittime da agosto dalla pulizia etnica dello Stato islamico, avente l’obiettivo di eliminare ogni minoranza etnica e religiosa nella zona. L’orrore sofferto nelle mani dello Stato islamico ha provocato traumi così gravi che alcune donne e ragazze si sono tolte la vita. Jilan, 19 anni, si è suicidata durante la prigionia a Mosul perché temeva di essere stuprata. Wafa, 27 anni, ha raccontato ad Amnesty International che lei e sua sorella hanno tentato il suicidio la notte dopo che i loro rapitori le avevano minacciate di sottoporle a matrimonio forzato. Hanno cercato di strangolarsi con i veli ma due ragazze che dormivano nella stessa stanza si sono svegliate e le hanno fermate.
«Abbiamo legato i veli intorno al collo e abbiamo tirato da una parte e dall’altra con tutta la forza che avevano, poi sono svenuta. Nei giorni successivi non riuscivo più a parlare», ha detto. La maggior parte degli autori di questi crimini sono uomini iracheni e siriani; molti sono combattenti dello Stato islamico, altri meri simpatizzanti. Parecchie ex prigioniere hanno dichiarato di essere state tenute in abitazioni familiari, dove hanno convissuto con le mogli e i figli dei loro rapitori. Molte delle sopravvissute sono doppiamente colpite, poiché devono fare i conti con l’assenza di decine di loro familiari, ancora in ostaggio o già uccisi dallo Stato islamico. «Le conseguenze fisiche e psicologiche delle orrende violenze sessuali subita da queste donne sono catastrofiche. Molte di loro sono state torturate e trattate come oggetti. Anche coloro che sono riuscite a scappare rimangono profondamente traumatizzate», ha commentato Rovera.
Il trauma delle sopravvissute alla violenza sessuale è ulteriormente acuito dallo stigma che circonda l’esperienza dello stupro. Le sopravvissute avvertono che il loro “onore”, così come quello dei loro familiari, è stato rovinato e che la loro capacità di vivere nella comunità sarà messa a rischio.
Molte sopravvissute alla violenza sessuale non ricevono ancora tutta l’assistenza e il sostegno di cui hanno disperatamente bisogno. «Il governo regionale kurdo, le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie che stanno fornendo cure mediche e altre forme di aiuto devono raddoppiare i loro sforzi, garantendo che tale assistenza arriverà rapidamente e senza bisogno di sollecitazioni a tutte le persone che ne hanno bisogno e che queste ultime siano informate che potranno accedervi», ha concluso Rovera. Questa assistenza dovrà comprendere, secondo Amnesty International, anche servizi per la salute sessuale e riproduttiva così come forme di sostegno e di consulenza per superare il trauma.
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