È davvero demoralizzante leggere i dati sull’emigrazione italiana verso altre mete, più o meno vicine al Bel Paese, che tra di loro hanno in comune il fatto di essere… altrove! Eppure è così. I dati dell’ultimo anno, diffusi in questi giorni, non fanno che confermare questa triste tendenza notoriamente conosciuta come “fuga di cervelli”. La migrazione è una realtà che ha fatto sempre parte del nostro Paese, a volte più accentuata, altre volte meno. La cosa che però impressiona maggiormente è che è cresciuto il livello culturale del migrante italiano. Mentre una volta si trattava di gente con un livello d’istruzione medio, adesso sono perlopiù laureati, ricercatori e professionisti che non riescono ad affermarsi nel loro campo. Ok, accettiamo il fatto che sono sempre “i migliori che se ne vanno”, ma come migrano dall’Italia, la stessa cosa succede negli altri posti del mondo. E qui che l’accento si sposta su un altro dato che non fa brillare per meriti la nostra cara Italia. Secondo uno studio pubblicato su Nature Biotechnology, pare infatti che i ricercatori stranieri non ambiscano ad arrivare nel nostro Paese: solamente il 3% sceglie l’Italia quale meta di studi e ricerche, percentuale tra le più basse tra i Paesi sviluppati, se pensiamo che, per esempio, la vicina Francia può contare su una percentuale di ricercatori stranieri pari al 17,3%.
Altro punto interessante è il mancato ritorno. Una volta i migranti italiani lavoravano all’estero ma rimanevano fedeli all’idea di ritornare a casa una volta concluso il periodo lavorativo. Adesso l’italiano si trova bene all’estero, quasi meglio che in Italia, ed è per questo motivo che spesso rinuncia al rimpatrio e mette radici nel Paese ospitante. Quante volte nella nostra rubrica “Italiani all’estero. La storia di…” leggiamo di gente che non ha nessuna intenzione di tornare in Italia? È un dato triste, ma purtroppo è il riflesso del malessere generale che sta affannando la nostra cara Penisola.
Eveline Bentivegna