Per la Farnesina sono nell’Helmand, altre fonti riferiscono che sono stati portati nella base di Bagram.
Il fastidio dei britannici per le intromissioni nelle operazioni militari
KABUL – È tornata la città degli inganni, dei giochi doppi e tripli, delle pugnalate alla schiena fra alleati, degli attacchi e delle rappresaglie per interposta persona. È pessima l’aria di Kabul in questi giorni, e non è solo l’inquinamento atroce del centro. Attorno alla vicenda dei tre operatori umanitari di Emergency le voci si rincorrono, aiutate da informazioni ufficiali reticenti o palesemente false, a coprire duelli, bugie, spartizioni di potere. Non si annuncia facile la missione per l’ambasciatore Attilio Massimo Iannucci, appena arrivato a Kabul dalla Farnesina con l’incarico di sbrogliare la vicenda assieme al consulente giuridico Rosario Aitala (mentre Frattini ha annunciato che l’ambasciata ha trovato tre legali afgani disposti a occuparsi del caso). Responsabile dell’Asia per il ministero, Iannucci è un uomo di peso, in grado di lasciar da parte la prudenza che ha finora caratterizzato le scelte dell’ambasciata di Kabul. Perché è difficile sfuggire all’idea che serva una posizione di maggiore durezza, visto il trattamento di scarso rispetto che le autorità afgane in questa occasione hanno riservato all’Italia, negando ogni chiarimento al personale espulso da Lashkar Gah e persino le informazioni di base sulla detenzione dei tre fermati.
Gli arrestati sono ancora nell’Helmand, garantisce il ministro italiano Franco Frattini. A Kabul girano altre voci: che siano già stati trasportati nel vecchio carcere dei Taliban, a Pol-i-Sharqi. Oppure, come garantisce un’alta fonte del ministero degli Interni, che siano a Bagram, il carcere militare della base aerea americana. Ma sotto il controllo di chi? L’ex magazzino dell’aeroporto, costruito negli anni Ottanta dai sovietici, è l’equivalente afgano di Abu Ghraib. Proprio qui nel 2002 due detenuti sono stati torturati a morte. Ma se i guardiani americani avevano le mani pesanti, bisogna vedere come si comportano gli afgani, a cui è passato il controllo dall’inizio dell’anno.
Non basta: secondo l’alto funzionario gli italiani verranno trasferiti entro tre-quattro giorni nella “Guantanamo afgana”, come la chiama la polizia di qui: è il reparto U-10 del vecchio carcere di Pol-i-Sharqi, ristrutturato un anno fa. Tre piani, celle minuscole per una o due persone, ospita già 350 inquilini, tutti trasferiti da Bagram con accuse di terrorismo. A gestirlo non ci sono poliziotti, ma uomini del ministero della Difesa, guidato da Abdurrahim Wardak.
Quale che sia la destinazione, l’unica certezza è che i servizi di sicurezza sono decisi ad andare avanti nell’attacco a Emergency. In mano all’Nsd, dice a Repubblica una fonte molto vicina ai vertici dei servizi afgani, ci sarebbero documenti che provano il coinvolgimento dei prigionieri in “attività terroristiche”. La provenienza della notizia sembra garantita, ma quello afgano è ormai un gioco senza esclusione di colpi. E le diverse cordate di potere non sembrano avere problemi a usare l’informazione per avvantaggiarsi. Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani sono ostaggio di giochi a diverso livello: per esempio, del braccio di ferro fra Hamid Karzai e il governatore dell’Helmand, Gulab Mangal. Se il presidente insiste a rimproverare, anche con toni aspri, le perdite di civili causate dalle operazioni occidentali, l’uomo forte di Lashkar Gah ha stretto un patto solidissimo con i britannici, e preferirebbe vedere ridotta al silenzio l’ong italiana, protagonista di denunce e proteste per la mano pesante usata con la popolazione.
Nel duello, sottolineano osservatori della realtà politica afgana, si è inserito Amirullah Saleh, potente capo dei servizi segreti Nsd, il cui rancore verso l’organizzazione di Gino Strada risale non solo all’affare Mastrogiacomo – con l’arresto, le accuse e poi la liberazione del mediatore Rahmatullah Hanefi – ma anche a una logica di schieramento fra tagiki. Saleh faceva parte del “gruppo del Panshir”, a suo tempo guidato da Ahmad Shah Massoud. Poi però l’attuale capo dei servizi si è schierato con Hamid Karzai, un pashtun, e non vedrebbe di buon occhio la “simpatia” fra l’ong italiana e Abdullah Abdullah, l’ex ministro degli Esteri che nelle ultime elezioni aveva cercato di contendere la poltrona al presidente.
Più ancora che i duelli interni afgani, però, la vicenda Emergency sottolinea difficoltà italiane e ruggini europee. In questa fase della guerra la Gran Bretagna ha assunto quel ruolo “muscolare” che gli Usa di Obama hanno in parte lasciato, e non gradisce le scelte italiane – ma anche tedesche, francesi, spagnole – di maggior attenzione alla diplomazia. Forse proprio da qui nasce l’accanimento contro i militari del nostro contingente, accusati di “pagare” i Taliban per evitare attacchi. Pagamenti che a determinate condizioni sono pratica comune in tutte le guerre, ma che in Afghanistan finora sono stati raccomandati apertamente solo nel manuale da campo dell’Esercito di Sua Maestà britannica.
Fonte: La Repubblica