Sono ancora pochi gli osservatori internazionali che devono vigilare sul rispetto del cessate il fuoco con gli attentati dietro l’angolo
Valutazioni contrastanti sul cessate il fuoco in Siria, accettata e messa in atto, seppure con difficoltà, dal 12 aprile. C’è la valutazione di colui che l’ha proposta ed attuata, l’ex Segretario Generale dell’Onu, Kofi Annan, e che vorrebbe prolungarla il più possibile prima di ristabilire un minimo di condizioni che possano permettere un dialogo; e c’è quella di Erdogan, il capo del governo turco, in visita la settimana scorsa a Roma, che ha perso ogni speranza che possa portare a qualcosa di positivo. In un’intervista ha dichiarato: “Non so più cosa augurarmi, perché non si riesce ad arrivare al risultato voluto”. In merito alla presenza di una settantina di osservatori internazionali – altri se ne aggiungeranno verso la fine di maggio, per un totale di circa 300 osservatori – decretati dall’Onu per controllare lo stato del cessate il fuoco, Erdogan ha detto: “Che cosa possono fare 50 osservatori? Non possono visitare non dico il Paese, ma neppure una piccola parte. Occorrerebbero mille, duemila, forse tremila osservatori”.
Erdogan, dieci giorni fa, aveva provocato qualche rimostranza perché, a suo dire, le sue parole erano state travisate. Il Corriere della Sera gli aveva fatto dire che invocava l’intervento della Nato, ma non era così. Lui stesso ha chiarito il suo pensiero che è il seguente: “Finora siamo stati pazienti con la Siria ma se il governo commetterà ancora degli errori alla frontiera, questo sarà un problema della Nato come recita l’articolo cinque”. La dichiarazione rilasciata da Erdogan non si presta ad equivoci: non ha invocato l’intervento della Nato, ma l’articolo cinque, che dice che la Nato è tenuta ad intervenire se uno Stato membro viene aggredito. Ora, ed è questo il timore di Erdogan, se la Siria, nella foga repressiva, andrà oltre il confine, quindi entrerà nel territorio turco, ci sarebbero tutti gli estremi perché la Nato intervenga a difesa della Turchia. In realtà, anche Erdogan è stato (forse) volutamente ambiguo. Lui ritiene che la situazione siriana è diventata talmente complessa che non sarà possibile tornare alla stabilità se Assad non abbandonerà il potere. Non vede altre soluzioni. Se Assad resterà al potere, non ci sarà nessuna possibilità di ristabilire la convivenza pacifica tra maggioranza e opposizione. Erdogan, però, sa anche bene che un intervento Onu è impossibile perché c’è stato il veto di Russia e Cina, che hanno acconsentito all’invio di osservatori internazionali per garantire il rispetto del cessate il fuoco, ma che non sono affatto favorevoli ad un intervento militare dell’Onu e men che meno a quello della Nato. Se la Nato intervenisse, si creerebbe un vulnus nel rispetto dei principi internazionali che non farebbero altro che peggiorare la situazione.
Dicevamo che c’è anche la valutazione di Kofi Annan, che, ovviamente, è favorevole a che il cessate il fuoco sia rispettato da entrambe le parti. Per l’ex Segretario dell’Onu il cessate il fuoco resta “l’unica chance di stabilizzare il Paese” Oltre il cessate il fuoco, ci sarebbe solo “la guerra civile”. Il Paese, in effetti, è diviso in due: ci sono gl’insorti, ma ci sono anche quelli favorevoli al regime e soprattutto l’esercito, a differenza di Tunisia e Libia, è rimasto sostanzialmente unito a difesa del regime. Il cessate il fuoco, sostanzialmente, è rispettato, ma ci sono bombe che esplodono sul cammino degli osservatori: bombe non metaforiche ma reali, come l’ultima che ha fatto una cinquantina di morti. Il regime accusa gl’insorti di farsi aiutare in questi compiti da agenti stranieri che vogliono seminare discordia; gl’insorti accusano il regime di continue provocazioni e trasgressione della tregua. L’attentato è stato rivendicato da Al Qaeda e questo la dice lunga sull’interesse a stabilizzare la Siria. Il cessate il fuoco è un fatto precario e nello stesso tempo un obiettivo da mantenere, una pista da seguire, insomma, una speranza da riempire con la pazienza e con la volontà di perseguire su questa strada. Una dichiarazione dell’ambasciarice Usa all’Onu, Susan Rice, definisce con precisione la situazione di stallo. Dice Rice: “La situazione in Siria resta molto difficile, in particolare per milioni di persone che continuano a subire ogni giorno gli attacchi e che hanno un bisogno urgente di aiuti internazionali”. “Gli Stati Uniti”, aggiunge Rice, “restano determinati ad aumentare la pressione sul regime Assad e su Assad stesso con l’obiettivo che lasci il potere”. Il punto è tutto qui, ma evidentemente tra gli Usa e Assad non c’è comunanza di vedute e di interessi.