Polemiche estive tra la procura di Palermo e il Quirinale sulle intercettazioni e tra il capo dello Stato Di Pietro che, secondo il Pd, si è messo fuori dal centrosinistra
E’ l’estate delle polemiche, c’è quella inusuale tra il capo dello Stato e la procura di Palermo sulle intercettazioni, c’è quella tra il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, e il capo dello Stato, sempre sulle intercettazioni e su qualcosa di più che riguarda i finanziamenti illegali provenienti dall’Urss, quella tra il vicesindaco di Palermo, Ugo Marchetti, e la giunta Orlando sulle misure per evitare il default; c’è quella tra i magistrati di Palermo e il premier Monti, sempre sulle intercettazioni, c’è, infine, per limiti di spazio, quella che riguarda i partiti e la legge elettorale, sempre sul punto di essere definita e mai condivisa. Tutte queste polemiche hanno anche carattere politico. Poi ci sono anche dissidi tra gli schieramenti politici e fermenti al loro interno. Proviamo a offrire un quadro semplice e, speriamo, essenziale di quanto accennato.
Come si può capire, la polemica furibonda tra il capo dello Stato e la procura di Palermo ha risvolti politici e penali. Da una parte il capo dello Stato che accusa i magistrati di Palermo di effettuare intercettazioni improprie e di indagare sul nulla, dall’altra la procura di Palermo che giudica le accuse inconsistenti e ribadisce che indagare sulla trattativa tra Stato e mafia per fermare gli attentati mafiosi nel 1992-1993 e per offrire sconti ai criminali (allentamento del 41 bis, cioè del carcere duro) significa accertare reati, non fare storia. La polemica continua, anche perché il capo dello Stato ha presentato un esposto alla Consulta sul conflitto tra i poteri dello Stato. Nella polemica si è inserito Antonio Di Pietro a difesa dei magistrati palermitani, accusando pesantemente Napolitano di non essere estraneo ai finanziamenti illeciti di origine sovietica di cui Napolitano, allora esponente di spicco del Pci, era al corrente. Come si può immaginare, con questa polemica a muso duro contro un uomo del Pd e presidente della Repubblica, il leader dell’Idv si è messo contro i suoi alleati di una volta, i quali ragionano, in fatto di alleanze, come se Di Pietro fosse un corpo estraneo, ma su questo torneremo più avanti.
In merito alla liceità delle intercettazioni al capo dello Stato o a un suo consigliere, seppure indirettamente in quanto l’intercettato era l’ex ministro degli Interni di 20 anni fa, Nicola Mancino, accusato da Palermo di falsa testimonianza e rinviato a giudizio, mentre parlava, appunto con il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, recentemente scomparso per un infarto, è intervenuto il premier Mario Monti a difesa del Quirinale. Monti aveva parlato di “abusi” da parte dei magistrati, ma i magistrati, a loro volta, hanno rintuzzato le accuse dicendo di aver applicato la legge. A difesa del capo dello Stato sono intervenuti i maggiori partiti, anche se il Pdl ha fatto notare che quando veniva intercettato Berlusconi nessuno tra quelli che protestano ora si era alzato per difendere le prerogative dell’ex premier.
A Palermo, a pochi mesi dall’elezione del sindaco Orlando, si è dimesso il vice sindaco Ugo Marchetti, magistrato contabile ed ex militare. La polemica si è svolta sotto tono, ma la sostanza è grave. L’ex vice sindaco dice che per evitare il default del Comune si dovevano riformare le società partecipate, centri di sprechi, cosa che a lui non è stato permesso di fare. Di qui le dimissioni. Infine, per quanto riguarda le polemiche estive, la legge elettorale. Doveva essere concordata mesi fa, ma siamo al punto di partenza, con il Pdl che vorrebbe le preferenze, mentre il Pd non le vuole più, dopo averle chieste per anni perché la legge senza preferenze non permetteva all’elettore di scegliere il suo rappresentante. In passato la legge attualmente in vigore veniva criticata aspramente perché assegnava il premio di maggioranza fino al 55% dei seggi alla coalizione vincitrice, ora, invece, il Pdl vuole concedere un premio del 10% al partito che ha più volti per evitare i ricatti dei partitini, mentre il Pd vuole conservare il premio di maggioranza alla coalizione in ragione del 15%. Così, se una coalizione raggiungesse il 49%, ottenendo un 15% in più arriverebbe non al 55%, ma al 64%! Insomma, in Italia le leggi vengono fatte non in base all’interesse generale, ma alle convenienze del momento.
Chiuso il capitolo delle polemiche, apriamo quello delle alleanze. Al momento attuale, il Pdl è messo male, c’è confusione, non si dice (perché non lo si sa) cosa vuole fare e dove vuole andare. C’è contrapposizione tra coloro che vogliono una grande coalizione dopo il voto e coloro che non la vogliono. Siccome non la vogliono soprattutto gli ex An, si parla di scissione. Intanto, c’è chi rilancia la vecchia alleanza con la Lega, ma questa, con Roberto Maroni, non si dimostra entusiasta. Insomma, con Berlusconi che non sa se candidarsi (per tenere unita e competitiva la sua creatura) o ritirarsi, la confusione è pressoché totale. Nel Pd, le anime non sono meno divise (vedasi la polemica sulle nozze tra omosessuali e sui temi etici), ma c’è un abbozzo di prospettiva con l’isolamento di Di Pietro che non farà parte della futura alleanza e con il patto tra Vendola (che ha scaricato anche lui Di Pietro) e Bersani. Dicevamo dell’emersione di una prospettiva perché ormai il patto tra Bersani e Casini è già acquisito ufficialmente, anche se quest’ultimo per allargare l’area di centro si presenterà da solo alle elezioni e poi, dopo il voto, farà un patto di governo con il Pd, in base al quale probabilmente Bersani sarà premier e lui presidente della Repubblica.