Probabile voto di fiducia sul decreto sulle liberalizzazioni dopo la presentazione dei 2400 emendamenti da parte delle forze politiche
Da una parte c’è il decreto sulle liberalizzazioni – in verità alquanto blande, almeno per quanto riguarda farmacisti e notai – in discussione alla Camera e sul quale pendono duemilaquattrocento emendamenti; dall’altra la trattativa sulla riforma del lavoro. Sono queste le prossime strettorie della politica italiana. Sulle liberalizzazioni le lobby stanno influendo pesantemente sui partiti. Tanti emendamenti vogliono dire attivismo delle lobby stesse che cercano di addolcire la pillola dei privilegi tolti, in particolare ai taxisti che non possono possedere più di una licenza e agli avvocati ai quali sono state sottratte le tariffe minime e che hanno l’obbligo di fornire un preventivo che il cliente, evidentemente, può non accettare, cambiando avvocato e cercando tariffe più basse. Ci sono privilegi che alcuni fanno fatica a mollare e ci sono quelli che vorrebbero spartire la torta degli affari. Gli uni e gli altri cercano di ”stravolgere” le liberalizzazioni che nel peggiore dei casi saranno sottoposte a voto di fiducia, quindi senza possibilità di emendamenti, salvo quelli che il governo ritiene ininfluenti ai fini di una buona riforma. Il voto di fiducia, dunque, è l’arma del governo e sarà usata senza esitazioni, per cui le lobby faranno quello che possono ma alla fine dovranno arrendersi. Diverso è il caso della riforma del lavoro. Anche qui il governo ha dichiarato che dalla trattativa si spera di arrivare ad una buona riforma, ma si sa che la Cgil (e il Pd) non vogliono sentir parlare dell’abolizione o della modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, né per coloro che sono già occupati, né per coloro che cercano un’occupazione. Il governo, per bocca di Elsa Fornero, ministro del Welfare, e di Monti, presidente del Consiglio, hanno fatto sapere che se non si trova un buon accordo il governo andrà avanti comunque, facendo intendere che si ricorrerà anche in questo caso al voto di fiducia. Però, è un fatto che su questo secondo e importante tema possono esserci fibrillazioni, sia da parte del Pd che non vuol modificare l’art. 18, sia da parte del Pdl che vuole modificarlo e invoca una sorta di reciprocità: come noi abbiamo accettato le liberalizzazioni che penalizzano il nostro elettorato, così voi dovrete accettare una riforma che cambierà le norme che regoleranno il rapporto di lavoro. Non è un caso che sia Monti dagli Stati Uniti, sia Napolitano da Helsinki, abbiano invitato le forze politiche alla responsabilità. Ha dichiarato il presidente della Repubblica ad Helsinki: ”Non ho motivo di ritenere che i partiti politici stiano per rovesciare il tavolo, per mettere a rischio il clima politico: non sarebbe nell’interesse del Paese e non sarebbe nemmeno nel loro stesso interesse”. In un’altra dichiarazione, Napolitano ha precisato: ”Faccio forte affidamento sul senso di responsabilità che le forze politiche italiane stanno già dimostrando nella discussione dei decreti presentati dal governo Monti”. Dopo aver aggiunto che i partiti ”stanno autonomamente concentrando il proprio impegno sulle riforme istituzionali”, alludendo all’iniziativa del Pdl di trovare un punto di convergenza con le altre forze politiche sulla riforma elettorale e su un nucleo di punti che concernono la diminuzione del numero dei parlamentari e la trasparenza in materia di rimborsi elettorali, Napolitano ha fatto eco a Monti dicendo ”noi abbiamo raccolto le istanze poste dai consigli europei, le stiamo affrontando e questo significa anche sacrifici”, alludendo alle difficoltà della Grecia di fare altrettanto. Dopo il botta e risposta tra il Pd, che ha espulso un suo senatore – Luigi Lusi, che ha fatto sparire 13 milioni dalle casse della Margherita che continua a ricevere rimborsi elettorali senza partecipare alle elezioni da tempo – e Rutelli, che ha posto la questione derlla trasparenza per quanto riguarda i Ds, altro partito che non partecipa più alle elezioni ma che continua a ricevere rimborsi elettorali milionari, si impone la riforma del finnziamento pubblico ai partiti con l’obbligo di presentare bilanci pubblici, mentre adesso né i partiti, né i sindacati sono tenuti a farlo. Come si può immaginare, su questo tema ci sarà battaglia, perché i milioni di euro fanno gola a tutti. Nel 1992 il finanziamento ai partiti fu abolito con un referendum popolare, ma i partiti aggirarono il referendum introducendo i rimborsi elettorali, che è diventato uno scandalo perché non solo i soldi pubblici ai partiti si sono moltiplicati, ma essi non sono nemmeno rendicontabili, per cui si assiste ad un partito scomparso, come la Margherita, che continua ad accumulare milioni (223) senza fare più attività. Alla luce di quanto detto, la domanda è d’obbligo: riusciranno i partiti a rinunciare ai soldi pubblici o quanto meno alla parte scandalosamente eccessiva di essi?